I Santi a sei
dita di Pontechianale
Roberto
D’Amico
Era il
1992 quando nelle pagine del mio libretto “Val Varaita Insolita” portai
per la prima volta all’attenzione del pubblico uno strano dettaglio nascosto
tra le montagne piemontesi: i santi con sei dita della
Cappella di Santa Maria Maddalena, nella frazione omonima di Pontechianale, in
provincia di Cuneo.
Da
allora, il mio nome è rimasto legato a questo piccolo enigma artistico. Eppure,
all’epoca non feci nulla di sensazionale: mi limitai a raccontare solamente ciò
che molti, fino ad allora, non avevano notato. Ho deciso di tornare a parlarne perché
ho trovato una nuova chiave di lettura che, forse, può finalmente dare un senso
a quelle dita in più.
Si
racconta che tra il XII e il XIII secolo, proprio dove oggi sorge la cappella,
esistesse già un primitivo luogo di culto. Ma la prima notizia storica certa
risale al 1603, quando Fra Stefano di Tenda ne curò la ricostruzione, ridando
vita a molte cappelle alpine devastate durante le incursioni degli Ugonotti nel XVI secolo. (2)
Oggi,
questo piccolo edificio sacro si presenta come un gioiello
dell’arte religiosa popolare alpina, con
pitture semplici e toccanti, probabilmente opera di artisti itineranti che si
muovevano tra Italia e Francia.
Nonostante
le sue dimensioni modeste, la cappella attira sempre più visitatori. Merito
della sua dedica alla figura affascinante di Maria Maddalena,
tornata sotto i riflettori grazie a Dan Brown e al suo Codice
Da Vinci, ma soprattutto per la presenza
degli ormai celebri Santi a sei dita.
Non è questa
la sede per parlare del complesso e affascinante tema della Maria Maddalena, ma
non posso non citare il bellissimo quadro che la raffigura, ora collocato in
alto dietro l’altare, che reca la data 1651 e rappresenta, forse, un ex-voto da
parte del cavaliere inginocchiato davanti al sepolcro vuoto per una qualche
grazia ricevuta a seguito dell’avvenimento probabilmente descritto nella scena
sul fondo.

Entrando nella
cappella, la prima cosa che salta all’occhio è che i quattro quadri
incorniciati che ritraggono gli Evangelisti, che misurano ognuno 2 m x 1,20 m, sono
sproporzionati rispetto alle dimensioni della cappella, come evidenziato dalla
loro stessa obbligata collocazione in una posizione che confligge con gli
elementi architettonici esistenti.
Non sono certamente
dei capolavori, anzi, sono di stile modesto e di data ed autori incerti. Una
sola delle tele, quella di San Luca, reca la firma di un certo Francesco Maria
Ravizza, ma non si può dire se egli sia anche l’autore delle altre. Sono state
datate del XVII secolo e si pensa che furono inserite nella chiesa nel ‘700 quando
queste terre passarono sotto i Savoia.

I dipinti
raffigurano i quattro Santi in piedi, vestiti con semplici tuniche e con
accanto i loro simboli secondo la più tipica iconografia cattolica; alla base
di ognuno è riportato il nome in latino.
Non tutti,
come si legge erroneamente da qualche parte, hanno la bizzarra caratteristica
di avere una mano o un piede con sei dita. Questa insolita anomalia è
riscontrabile nella mano destra levata di Marco, nel piede sinistro di San Luca
e forse anche nel piede sinistro di Matteo. Mentre nella mano l’esadattilia è
evidente, nei due piedi il sesto dito sembrerebbe più la rappresentazione di un
abbozzo peduncolato del mignolo. Da notare che tutti e tre questi arti sono
messi in primo piano, con il chiaro intento di volerli mettere in risalto.

Escludendo un
possibile errore, inconcepibile anche per il più maldestro dei pittori, mi sono
sempre domandato quale potesse essere stato il motivo per cui quegli artisti
decisero di inserire nelle loro opere delle anomalie anatomiche così evidenti.
La prima
ipotesi fu quella di pensare che gli autori si fossero ispirati a modelli
reali. Il fatto che i santi abbiano solo una mano o un piede con sei dita e gli
altri arti normali potrebbe convalidare questa ipotesi, in quanto questa
anomalia congenita solitamente si presenta proprio solo ad una mano o ad un
piede.
Qualcuno aveva
più semplicemente supposto che avrebbe potuto essere stato solamente uno
stratagemma utilizzato dai pittori per “firmare” le loro opere e far sì che se
ne parlasse. Questa ipotesi non tiene però conto del fatto che ogni opera che
veniva messa in una chiesa doveva passare la censura ecclesiastica e, tenendo
conto che l’esadattilia (che oggi sappiamo essere una delle anomalie più comuni,
circa un bambino su mille nasce con questa condizione), era nel medioevo
considerata uno dei segni di riconoscimento della stregoneria, risulta
perlomeno strano trovarla raffigurata su dei santi.
Tutto porta a
pensare che non si tratti di un errore o di un bizzarro stratagemma ma di
una scelta iconografica intenzionale per indicare un segno di eccezionalità
e che magari furono gli stessi committenti a
dare indicazioni ai pittori affinché venissero inserite quelle intriganti seste
dita.
Negli ultimi anni questa
ipotesi ha acquistato sempre più valore man mano che molti altri ricercatori, grazie alle grandi possibilità
fornite da Internet nella diffusione di informazioni, sono riusciti ad individuare altri casi simili in diversi dipinti religiosi, soprattutto
del XV e XVI secolo.
L’elenco è lungo ed ognuno potrà divertirsi, se
interessato, ad andarseli a vedere sul Web. Giusto per dare un’idea di
quanto sia esteso l’argomento, ne citerò alcuni tra i più noti. Raffaello, ad
esempio, inserì l’esadattilia nel piede destro del Gesù bambino dipinto
nella sua casa natale ad Urbino, nel piede sinistro di San
Giuseppe nello Sposalizio della Vergine e nei piedi sinistri di Giovanni
Battista e della Madonna ne La bella giardiniera.
Altri esempi sono quelli del piede del Bambin Gesù dell’affresco
di Johann Mitterwurzer nella Chiesa di San Giorgio a Luson (Bolzano), del
piede sinistro della Madonna nella pala d’altare della chiesetta della Madonna
di Loreto di Massimeno (Trento), del piede sinistro di San Giovanni nella Crocefissione
della chiesa di Santo Stefano a Carisolo (Trento), del piede destro di Cristo Risorto nella
chiesa di San Vigilio a Pinzolo (Trento) e del piede destro di San Giovanni
Battista e in quello sinistro di San Sebastiano nella pala della Vergine
annunciata e santi Giovanni Battista e Sebastiano di Timoteo
Vitti.
Dunque, gli Evangelisti di Pontechianale non sono
un’eccezione ed è evidente, a questo punto, che la soluzione dell’enigma
travalichi i confini piemontesi ed assuma ben altra valenza.
Credo che oggi si possa affermare che quelle mani
e quei piedi non solo non fossero simboli demoniaci ma che, al contrario, indicassero
un segno di distinzione, di connessione col divino,
alludendo alla consapevolezza spirituale raggiunta dai personaggi in tal modo raffigurati.
Un codice per chi sapeva leggere tra le
righe.
Si tratta di simbologie che si
rifanno alle dottrine esoteriche presenti, a correnti alterne, anche nel
cristianesimo. In particolare, alla numerologia, secondo la quale ai
numeri erano attribuiti significati simbolici che li mettevano in relazione con
ogni aspetto della natura, della vita umana e del rapporto col Divino. Il
numero sei, che in geometria rappresenta l’esagono e la Stella a sei punte,
prodotto dal tre (la Trinità) moltiplicato per due (la dualità), corrisponde
allo stato di equilibrio tra il bene e il male ed al passaggio iniziatico ai
misteri della creazione.
Da un punto di vista esoterico sarebbe probabilmente
anche importante considerare il significato attribuito a destra e sinistra,
associati alla Dualità, ai due principii complementari del maschile e del
femminile, e metterlo in relazione con la mano o il piede del personaggio
raffigurato, ma il discorso si allargherebbe troppo. Lascio ai lettori
eventuali approfondimenti personali.
Per
quanto mi riguarda, sono stato felice di vedere che il seme che avevo senza
pretesa alcuna piantato è germogliato, cresciuto e ha dato frutti. Devo
confessare che riguardare quelle opere con occhi nuovi e mente più aperta mi ha
appagato di tanti anni di attesa. È stato come chiudere un cerchio, ho avuto la
sensazione di essere finalmente riuscito a scalfire la superficie del mistero racchiuso
in quelle insolite rappresentazioni. Ovviamente la mia ricerca continuerà.
Durante l’ultima visita alla cappella di
Santa Maria Maddalena ho avuto il piacere di incontrare Silvio Franzosi, uno
dei Massari (“Massè” in “patois”) della Cappella. Insieme ai suoi
colleghi, Lara Morel, Flavio Vasserot e Roberto Faure, tutti volontari laici
che lavorano “pro bono”, Silvio provvede ad accudire questo bene di proprietà
della Chiesa e ne gestisce la promozione. È grazie al lavoro che i Massari
svolgono con dedizione, passione ed amore se da una decina di anni la chiesetta
è ritornata in vita: pulita, manutenzionata, illuminata, addobbata con fiori e,
durante i mesi estivi, sempre aperta al pubblico.
Ho approfittato per chiedergli se sono previsti
programmi di conservazione per questi dipinti, alcuni dei quali mostrano chiari
segni di un grave deterioramento dovuto principalmente all’umidità e alla luce.
“La necessità
di un restauro è nota da tempo, - mi ha detto
- ora stiamo finalmente prendendo le prime iniziative, tenendo presente che
si deve operare sotto il vincolo delle Balle Arti. Sono stati presi contatti
con dei restauratori competenti che quest’anno verranno a vedere le condizioni
delle tele per consigliarci su quale possa essere il metodo migliore per
eseguire un buon lavoro. Ovviamente dipenderà anche dal costo. Quando sarà
possibile avere un budget vedremo come superare l’eventuale problema economico,
tenendo presente che gli unici introiti provengono dalle offerte che vengono lasciate
dai visitatori in chiesa e dai ricavi dell’Incanto, la tradizionale vendita annuale
all’asta di oggetti e prodotti tipici della valle donati dai fedeli.”
“Colgo
l’occasione – mi ha detto
Franzosi nel salutarmi - per invitarla a venirci a trovare durante i
festeggiamenti per la Festa di Santa Maria Maddalena, che inizieranno nel pomeriggio
di lunedì 21 luglio con la processione e la messa, e si concluderanno martedì 22
luglio con l’Incanto dalle ore 10.00 davanti alla nostra chiesetta.”
Ho accettato
con piacere l’invito, sperando che si riesca a fare qualcosa in fretta per
salvare quei quadri da ulteriore degrado perché, pur non trattandosi di opere
pregiate, per questa comunità esse possiedono un grande valore storico ed
affettivo.
Note:
1)
Roberto D’Amico, “Val Varaita Insolita”,
Edizioni Clypeus, 1992.
Roberto D’Amico,
“L’aniuma segreta della Val Varaita”, Priuli & Verlucca Editori, 2000.
2) C. Allais, “La Castellata
– Storia dell’Alta Valle Varaita”, Saluzzo, 1891.
3) Interessante la
pagina Facebook: Pontechianale – Cappella S. Maria Maddalena,
https://www.facebook.com/profile.php?id=100094679149981
Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 3 luglio 2025
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