La roccia-altare preistorica di Chianale, in Val Varaita
Roberto D’Amico
Erano gli anni ’80 dello scorso
secolo quando scoprii la bellissima roccia con incisioni del Cumbal dell’Asino.
Da allora, essa giustamente figura in tutte le mappe e gli opuscoli della Pro-Loco e del Comune
di Pontechianale come elemento di interesse storico da visitare. Sono certamente fiero di aver
contribuito a promuovere questo eccezionale reperto che fino alla pubblicazione
del libro “Segni e Simboli in Val Varaita” era completamente ignorato.
Ci sono tornato recentemente, dopo
tantissimi anni, con un gruppo di amici e devo dire che l’emozione nel rivederloa è
stata pari o superiore a quella provata più di quarant’anni fa. La salita, a causa dell’età, mi è
sembrata più lunga e pesante di quanto ricordassi e avessi scritto nei miei libri... Devo dire che anche il ricordo visivo di quella roccia era diverso da come risulta oggi, a causa della differente vegetazione che la circonda, più ricca di arbusti e alberi, e che in parte la ingloba.
La nostra roccia è a 2300
metri di quota, lungo il sentiero che da Chianale porta a Pontechianale passando dal Col del Rastel, nella parte bassa del Cumbal che fa parte nell’ampia valle di Torre Reale, dopo le Grange Martinet, sovrastanti il vallone di Tirabue. La zona è costellata di massi, anche di grandi dimensioni, dovuti al frantumarsi graduale delle vette nel corso dei millenni. Proprio uno di questi massi venne scelto dagli antichi abitatori Celti per la sua particolare forma appiattita, per la sua posizione e sicuramente per il suo orientamento.
Mi sono sempre domandato che cosa mai avesse avuto di particolare questo piccolo pianoro per essere scelto come luogo sacro. Ora, con l'aiuto di Google Map, provo ad azzardare una risposta. Quel pianoro è, infati, inserito in un cuneo triangolare di terra, prominente sulla valle, compreso tra due corsi d'acqua. Come è noto, la confluenza di corsi d'acqua è sempre stata ritenuta una caratteristica capace di dispensare proprietà energetiche speciali. La roccia è inoltre vicina ad un sentiero di grande passaggio, che possiamo presumere non sia mutato di molto dall'antichità ad oggi.
Ovviamente questa ipotesi non è che una delle mille spiegazioni possibili. In ogni caso non si sbaglia certo a definire questo masso una “roccia-altare”,
perché i suoi circa trenta metri quadrati di superficie sono interamente ricoperti
di incisioni chiaramente ed inequivocabilmente di significato magico-religioso.
Ad esclusione di una scritta datata
risalente all’800 e ad alcune croci cristiane, tutti i segni sono riconducibili
a noti modelli dell’arte rupestre alpina. Sono incisioni eseguite con molta
cura e da mano esperta che richiesero un lungo, paziente e faticoso lavoro,
probabilmente eseguito in tantissime fasi susseguitesi nel tampo.
L’usura del tempo è evidente, per
cui i petroglifi risultano molto abrasi e talmente poco profondi da essere ormai ben riconoscibili
solo da vicino. Tra l’altro si può vedere, guardando le fotografie degli inizi
degli anni ’90, quanto si siano ulteriormente degradati. Sarebbe utile che
si pensasse di fare un riparo il plexiglass, come fatto da altre parti, per custodirli ed evitare che scompaiano del tutto.
Sulla roccia-altare si notano
soprattutto un gran numero di croci particolari di circa 15/20 centimetri di lunghezza, che vengono dette “Rose Camune”, perché scoperte per la prima volta in Val Camonica. Sono croci formate che venivano eseguite scolpendo prima quattro coppelle che poi venivano unite tra loro da braccia. Vengono fatte risalire
all’Età del Bronzo, dunque a circa il 2000 a.C (oltre 4000 anni fa!). Si trovano allineate su file quasi parallele. In alcuni casi le croci sono rimaste incomplete, essendo presenti solo le quattro coppelle iniziali. Una di queste croci è inscritta in
un cerchio a formare una composizione che ci riporta indubitabimente ad un simbolo solare.
Vi sono, poi, un gruppo di grosse
coppelle, del diametro di circa 10 centimetri, e diverse figure antropomorfe stilizzate a forma di “phi” o ad “arco”. Anche in questo caso si tratta di modelli ben codificati di incisioni alpine, così come le numerose svastiche stilizzate e la figura di un uomo in posizione di adorante, con le braccia alzate orientato verso il sorgere del sole. Una decina di anni fa ho individuato lungo lo stesso sentiero una figura simile su una roccia davanti alla quale ero passato centinaia di volte. Poi un giorno ho avuto l'idea di togliere il muschio che la ricopriva e la scoprii... Questo dimostra quante cose potrebbero essere infivifuate se si facessero delle campagne sistematiche di ricerca.
Questa volta, però, essendo in una zona di grande passaggio, ho ricoperto il tutto col muschio per evitare che escursionisti poco attenti potessero rovinare quei segni già fortemente usurati dal tempo. Non so se mi capiterà ancora di tornare a visitare la bellissima roccia-altare di Chianale. Spero, tuttavia, che altri continuino nell'opera di tramandarne il ricordo e di tutelarla per i posteri, ma anche di continuare a guardarsi intorno e a ricercare altre tracce di un passato che per troppo tempo è stato volutamente ignorato e dimenticato. Buon lavoro, dunque, ai nuovi Ricercatori dell'Insolito!
Bibliografia:
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Roberto
D’amico, Val Varaita Insolita, Edizioni Clypeus, Torino, 1992
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Roberto
D’Amico, Segni e Simboli in Val Varaita, Edizioni Clypeus, Torino 1994
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Roberto
D’Amico, L’anima segreta della Val Varaita, Priuli e Verlucca editori, 2000
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