Torino: l’enigma della domus romana in via delle Orfane
Roberto D’Amico
Fortunatamente, grazie all’accresciuta sensibilità verso i reperti
archeologici, capita sempre più spesso che le nuove scoperte vengano conservate,
protette e, se possibile, rese accessibili al pubblico. Il centro di Torino,
costruito sopra l’antica Augusta Taurinorum, di cui ricalca ancora
l’impianto stradale, offre ovviamente tantissime possibilità in questo senso.
È quanto è accaduto nel 2017 a seguito della riconversione in complesso residenziale
dell’antico convento di Sant’Agostino, tra via delle Orfane e via Santa Chiara,
luogo di antica storia. La prima chiesa venne, infatti, lì edificata alla fine
del X secolo, anche se la configurazione attuale risale alla seconda metà del
XVI secolo, quando agli Agostiniani Calzati venne concessa la Chiesa dei SS.
Giacomo e Filippo, che loro si affrettarono a ricostruire dedicandola a
Sant’Agostino.
In realtà, in
questo posto si sono sovrapposte stratificazioni ben più antiche del nostro
passato. Prima della chiesa medievale l’area fu,
infatti, un piccolo cimitero, come testimoniato dal rinvenimento di un nucleo
di tredici tombe datate all’VIII secolo e, prima ancora, qui sorgeva, tra il I e il III secolo, una domus romana.
Durante i lavori di ristrutturazione è stata riportata
alla luce proprio una porzione di un’ottantina di metri quadrati di quell’edificio,
comprendente parti di quattro stanze con pregevoli pavimenti musivi.
Il “Gruppo Building”, ideatore e realizzatore
del progetto QuadraTo, in sinergia con la Soprintendenza Beni Architettonici e Culturali
del Piemonte e con il contributo della Fondazione CRT, ha fatto eseguire il restauro conservativo dei
resti trovati dal Centro Conservazione e Restauro “La Venaria Reale” e nel 2022
ha creato una piccola area archeologica aprendola immediatamente al pubblico.
Si tratta, quindi, di un sito molto recente e
di conseguenza ancora poco conosciuto, nonostante sia ubicato in un’area
altamente turistica.
Val la pena ricordare che QuadraTo è
il nome della prestigiosa casa-residence, altresì definita “relais urbano” o “condominio
contemporaneo”, che, come altri precedenti progetti del “Gruppo Building” nella
nostra città, è un brillante esempio della nuova ingegneria olistica. Una
ridefinizione dell’abitare che dilata il concetto della progettazione con
l’integrazione e l’equilibrio energetico tra ambiente e persone, tra passato e
presente, avendo
come obiettivo ultimo quello di rendere il sistema Uomo-Habitat-Ambiente
sicuro, salubre e felice per giungere ad un vero benessere psico-fisico e
sociale.
Inizio la visita a questa moderna e singolare
area archeologica cittadina dalla Piazzetta della Visitazione, sulla quale si
apre il portone di Via delle Orfane 18, attraversato il quale, passando dai
rumori della città al silenzio quasi assoluto del cavedio del nuovissimo
“relais”, senza rendermene conto, compio quasi istantaneamente un salto di
duemila anni.
Entrando, mi trovo con il nord alla mia
sinistra e quindi, per andare alla zona archeologica che mi sta di
fronte della quale si percepisce appena l’esistenza essendo interrata, vado
verso oriente. Sarà stata solo una mia suggestione, ma in quel momento mi sono
reso conto che il cammino che stavo compiendo dal portone ai resti
archeologici, attraversando il cortile, segue la stessa direzione ovest-est che
si segue quando si entra in ogni tempio degno di questo nome.
Ho percepito strane sensazioni, un misto di
soddisfazione per la scoperta di quel luogo così singolare, ammirazione per le
menti illuminate che lo avevano concepito e realizzato, stupore per aver trovare
tra quelle vecchie case un’installazione così moderna. Ho avuto anche la percezione di essere in
procinto di avere un incontro mio personale, interiore, con qualcosa ancora traboccante
della vita di quei nostri antenati, che non sono poi così lontani nel tempo
come si immagina.
In età matura, mi capita ormai spesso di
vivere le visite ai resti del nostro passato, più che con un mero interesse
archeologico, come un incontro spirituale con gli uomini e le donne che lì avevano
vissuto. Sento una forte carica di energia vitale che ancora pregna quei luoghi
di una certa sacralità.
Mentre percorrendo quei pochi metri faccio
queste mie riflessioni, giungo al grande Totem bilingue che accoglie i
visitatori al fondo del cortile. Leggo che già nel 2016, durante la
realizzazione dell’autorimessa interrata, erano stati scoperti i resti di questa
domus che occupava la parte meridionale dell’isolato romano definito da
tratti di strade e fognature, come, per altro, aveva ben riportato Alfredo
d’Andrade nella sua carta di Augusta Taurinorum nel 1904.
La domus si articolava attorno ad un’ampia corte centrale ed era orientata, come tutta la città, più o meno secondo i punti cardinali. Dico più o meno, perché il Decumanus Maximus della Torino romana era in realtà orientato con uno scostamento di 30° dall’est geografico. Si tratta di un fatto che meriterebbe qualche considerazione aggiuntiva, ma esulando dall’oggetto del presente articolo, per comodità di trattazione, indicherò i riferimenti geografici approssimandoli ai punti cardinali.
Per accedere alle rovine, che sono in parte
sotto gli edifici e in parte in un’area ribassata del cortile, scendo una
comoda discenderia che consente a chiunque di fruire della struttura in
adeguata sicurezza e autonomia. L’area archeologica è coperta, protetta in modo
eccellente dagli agenti atmosferici e la passerella in legno è ampia.
Inizio la visita partendo dalla sinistra. Riesco
ad intravedere una piccola porzione del complesso termale che è mostrato intero
sulla piantina del pannello, ma che non è visitabile essendo all’interno dell’area
dell’autorimessa.
Proseguo lungo la passerella spostandomi da nord
verso sud e mi trovo sopra ciò che resta di quattro stanze rettangolari
adiacenti e comunicanti tra loro, identificate come sale di rappresentanza. La mia
posizione è come se mi trovassi all’interno delle camere, rivolto verso gli
accessi che si affacciavano sul peristilio di cui sono ancora visibili i resti
di una colonna in laterizio rivestita da stucco scanalato. La forma delle
camere, lunghe e strette, il fatto che avessero una sola apertura sul portico e
l’apparente assenza di vani residenziali, quali la cucina e le stanze da letto,
hanno indotto a pensare che l’edificio fosse impiegato come sede di riunione di
un collegium, un’associazione professionale.
Nella terza sala, proprio prima della soglia
d’accesso al porticato molto ben conservata e ancora con i segni dei cardini, mi
colpisce una particolarissima decorazione simbolica formata da un cerchio con inscritti
sette esagoni raffigurati a “nido d’ape”. È realizzata con piccole tessere nere
rettangolari disposte secondo la tecnica detta “a canestro” che non era mai stata
riscontrata in precedenza a Torino. È un mosaico povero, anche se la sua
rappresentazione grafica era molto diffusa in tutto l’Impero anche in forme
molto più elaborate, ricche e raffinate.
Il reperto più importante, il vero gioiello archeologico di questo sito, è, però, situato sul lato meridionale, nell’ultima stanza, che è anche la più grande. È stata riconosciuta come sala da banchetto per la posizione decentrata del mosaico che ne decora il pavimento, attorno al quale si pensa fossero disposti i kline, i lettini usati per consumare i pasti. È un grande mosaico quadrato di circa 1,2 m di lato, quasi integro, composto da tessere di marmo bianche e nere, che presenta una doppia cornice all’interno della quale quadrati e losanghe circondano una figura centrale rappresentante il mitologico personaggio di Atteone. Era significativamente orientato in modo da essere ammirato da chi accedeva alla stanza dal peristilio.
Secondo la mitologia greca, figlio di Aristeo e di Autonoe, Atteone viene allevato dal centauro Chirone, che gli insegna tutte le tecniche dell’arte venatoria facendolo diventare un valentissimo cacciatore. Secondo la più celebre delle versioni del mito, nel corso di una battuta di caccia, Atteone provoca l’ira di Artemide sorprendendola mentre si bagna nuda insieme alle sue compagne. La dea, per impedirgli di raccontare quello che aveva visto, lo trasforma in cervo spruzzandogli dell’acqua sul viso. Atteone si accorge della sua trasformazione solo quando scappando giunge ad una fonte e si vede riflesso nell’acqua, ma per lui è ormai troppo tardi, viene raggiunto dalla muta dei suoi cani che, non riconoscendolo, lo sbranano.
Il nostro mosaico immortala Atteone in fase
di trasformazione, con le corna di cervo che gli spuntano sul capo, mentre
brandisce un bastone col quale tenta inutilmente di difendersi dall’attacco dei
suoi cani.
Oltre a quanto
riportato sul pannello del sito, esistono varie ipotesi interpretative
sull’utilizzo dei quattro vani. Ad esempio, c’è chi pensa che si potesse trattare
di locali commerciali o pubblici.
L’ipotesi più
recente, certamente la più accattivante, vuole, però, che l’edificio fosse nientemeno
che una scuola per gladiatori, dei quali in Augusta Taurinorum era certa
la presenza essendo la città dotata di un grande anfiteatro, in quanto è noto
che Atteone fosse una delle figure mitologiche da loro più amate.
Difficilmente si
riuscirà mai a scoprire la vera funzione di questa abitazione. Ognuno, davanti
a quel mosaico, potrà far volare la fantasia e l’immaginazione a suo piacere e
abbracciare l’ipotesi che più gli piace. L’emozione è comunque assicurata!
Questi eccezionali reperti, con le loro
pavimentazioni in opus signinum ed il mosaico, che ne costituisce la
parte più preziosa, sono visitabili gratuitamente.
L’ingresso è libero, tuttavia, stranamente
non c’è alcuna indicazione esterna che ne indichi l’esistenza e dal di fuori
non è assolutamente possibile rendersi conto della sua presenza. Per cui, chi
non ne ha letto o sentito parlare passa e va. Una pecca facilmente risolvibile.
Nei giorni feriali il portone d’accesso al
cortile è normalmente aperto al mattino e al pomeriggio dal lunedì al venerdì, il
sabato solo al mattino.
Una mezzoretta davvero ben spesa.
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