Triadi tricefale dall’antichità alla Trinità cristiana

Roberto D’Amico

La tricefalia, cioè la caratteristica di avere o di essere rappresentate con tre teste o con tre facce appartenenti ad una sola testa, è presente in molte divinità e personaggi mitologici sin dalla più remota antichità, come documentato tanto dall’iconografia quanto dalla letteratura. Le Triadi sono una caratteristica peculiare e onnipresente nel mondo indo-europeo e hanno una chiara ed indiscussa derivazione orientale.
La più antica e famosa figura tricefala nota risale al III millennio a.C. e la si ritrova raffigurata sui sigilli della città di Mohenjo-Daro, nell’odierno Pakistan. (fig.1) Si tratta di una figura maschile con un copricapo ornato da grandi corna di bufalo considerata come possibile progenitrice del dio indù Śiva.
La Trimurti, vocabolo sanscrito che significa «il dotato di tre aspetti», è una rappresentazione sacra dei tre aspetti delle divinità Brahma, Visnu e Siva collegati tradizionalmente rispettivamente alle funzioni di Creazione, Conservazione e Distruzione. (fig.2)
Vi è poi l’Astarte fenicia del 1500 a.C.  che tiene fra le braccia probabilmente un bambino che presenta tre teste ma due braccia e un unico corpo a significare che la Dea ha tre aspetti ma è una. (fig.3) Alcuni la indicano come la prima vera e propria Trinità ed il suo messaggio è stato interpretato come rappresentazione di Nascita, Vita e Morte per indicare che sono solo aspetti diversi di un unico ciclo. 

 


Nel mondo classico, la divinità trina più nota è certamente la dea greca Ecate, nel suo triplice aspetto di dea Terrestre, Lunare e Ctonia. (fig.4)  Denominata anche Trivia, essa veniva raffigurata con tre teste o tre corpi; i crocicchi e i trivi erano posti sotto la sua protezione ponendovi edicole od altari a lei dedicati.

Altra figura del mondo greco è il tracio Hermes Tricefalo, Dio dei Re, la cui particolarità consisteva nel fatto che una delle tre teste aveva un volto femminile, simbolo della dimensione ermafrodita e trasmutevole che egli rivestiva. (fig.5)

Nel mondo gallo-celtico era, invece, molto venerato il cosiddetto Tricefalo gallico, divinità mai chiaramente identificata di cui sono stati trovati steli, altari e cippi in tutti i territori dell’antica Gallia (in fig.6 due sculture rinvenute a Reims e Condat). Viene associato al Mercurio gallico ed era rappresentato talvolta con tre facce, altre volte con tre falli. Sono in molti a ritenere che si trattasse di un dio solare e che le sue facce indicassero i tre punti del corso del Sole durante il giorno, Alba, Zenit e Tramonto, con tutte le possibili associazioni concettuali e simboliche ad essi riconducibili.

Divinità a tre teste meno conosciuta da noi, ma non per questo meno importante, è Triglav, dal lituano “dalle tre teste”, a volte chiamato anche Troglav, appartenente al pantheon slavo, unione di tre dei, che però variavano in base al luogo e all’epoca dando origine a triadi diverse. Si diceva che avesse tre teste perché regnava sui tre regni: Cielo, Terra e Oltretomba. I suoi occhi possedevano un grande potere, per questo motivo in tutte le statue che lo raffiguravano venivano tenuti coperti. (fig.7) Nei dintorni di Stettino, in Polonia, esistevano diversi templi e statue a lui dedicati che vennero purtroppo distrutti ai tempi della cristianizzazione.

Credo che pur una rassegna così veloce e concisa renda in modo sufficientemente evidente quanto la Tricefalia sia un argomento estremamente affascinante, pieno di storia e di significati profondi.  

Forse pochi sanno che anche la Santissima Trinità cristiana è stata rappresentata con le stesse modalità iconografiche delle antiche divinità pagane tricefale. Così come, per altro la stessa idea monoteistica, anche il concetto di Triade e della natura Una e Trina di questa si riallacciano in modo evidente alla lenta trasmissione di miti, insegnamenti e simbolismi che dall’estremo oriente giunsero al continente europeo e al bacino del Mediterraneo durante il corso di millenni.

Venendo all’argomento che ci interessa, iniziamo col dire che fu tra il XII e il XIV secolo che in Europa si diffusero tre differenti tipologie di raffigurazione antropomorfa della Santissima Trinità.

In Italia, l’immagine più comune fu quella del cosiddetto “vultus trifrons”, che richiamava maggiormente le antiche divinità del bacino mediterraneo: tre volti ravvicinati con una fronte, un naso, una bocca e una barba ciascuno ma soltanto quattro occhi in tre (fig. 8, Chiesa di S. Giuliana, Vigo di Fassa, provincia di Trento e fig.9, Chiesa di San Nicolao, Giornico, Canton Ticino).

Nell’Europa centrale, ma anche in tutte i territori dell’arco alpino da sempre parte o fortemente influenzati dalle culture gallo-celtica, germanica e slava, essa apparve con un unico corpo dal quale si dipartivano tre teste: quella di mezzo frontale, le due laterali di profilo (fig.10, Chiesa di Santa Maria Assunta, Armeno, sopra il lago d’Orta in provincia di Novara).

Infine, una terza rappresentazione ancora diversa della Trinità raffigurava Padre, Figlio e Spirito Santo come tre figure identiche, complete e distinte, solitamente sedute e poste sullo stesso piano, in posizione benedicente e con lo stesso volto, più frequentemente quello del Cristo, talvolta con le sembianze più anziane del Padre.

Di questo tipo di pitture sopravvivono moltissimi esempi anche in Piemonte, come quello dell’Oratorio della Trinità in Valgrana, Cuneo. (fig.11)

Dico sopravvivono, perché con il Concilio di Trento (1545-1563) e definitivamente con papa Urbano VIII, che l’11 agosto 1628 organizzò un rogo esemplare allo scopo di bruciare tutte le immagini di quel tipo in suo possesso, tutte queste rappresentazioni iconografiche vennero condannate come diaboliche e proibite.

In particolar modo proprio quelle tricefale e trifronti, non a torto considerate troppo simili alle antiche divinità pagane, che gli iconoclasti Protestanti con scherno definirono il “Cerbero cattolico”, con riferimento al mitologico cane infernale tricefalo.

Per altro, già nel XV secolo Sant'Antonino da Firenze nella sua “Summa Theoloigca” aveva denunciato l’immagine della Trinità in forma di uomo a tre teste “quod monstrum est in natura rerum".
Il periodo della controriforma fu probabilmente il motivo scatenante che costrinse la Chiesa, che in effetti aveva consentito per molti secoli quel tipo di raffigurazioni, a decidere di non poter più permettere immagini concepite senza adeguati criteri selettivi.

Dal XVI secolo le Trinità antropomorfe vennero così ovunque occultate o, assai più spesso, distrutte. Fortunatamente alcune di queste sfuggirono a quell’infame destino e sono riuscite a giungere fino a noi.

 


Chiunque fosse interessato al tema e volesse approfondirlo potrà facilmente trovare sul Web tutte le loro immagini e i loro riferimenti.

Prima di concludere, come mia consuetudine, mi sia consentito un piccolo tocco di “Insolito”.

Tra tutti i vari dipinti rimasti, ritengo assai interessante evidenziarne due molto particolari che presentano interpretazioni della Santissima Trinità tricefala a dir poco curiose.

Il primo di questi dipinti, intitolato “La creazione di Eva”, si trova nella stupenda Laura di Santa Croce ad Andria, provincia di Barletta-Andria-Trani. La Trinità, seduta su un bellissimo trono, è qui raffigurata come un corpo sormontato da due teste, quella del Padre con capelli e barba bianchi e quella del Figlio con capelli e barba castani, e, ed è questa la particolarità unica, al posto della terza testa una Colomba Bianca, completa e di profilo, per simboleggiare lo Spirito Santo. (fig.12) Triplicità comunque rispettata!
Ancora più curiosa ed enigmatica è, infine, la Trinità affrescata nel chiostro dell’Abbazia di San Pietro in Perugia, le cui teste presentano tratti decisamente femminili. (fig.13)
Datato agli inizi del 1300, questo affresco viene attribuito addirittura alla scuola di Giotto o a quella di Duccio di Boninsegna. Difficile immaginare chi lo commissionò, il motivo per cui lo fece realizzare in quel modo e lo scalpore che dovette suscitare ai suoi tempi.  
In ogni caso, quel dipinto rimase esposto per tre secoli, fino a quando, nel 1614, divenuto ormai blasfemo, fu appositamente costruito un muro per nasconderlo. Particolarmente interessante è il fatto che non venne distrutto e che, pur di conservarlo, venne addirittura alzato un muro, segno evidente della particolare venerazione e rispetto di cui dovette godere da parte dei monaci.
Quel muro, comunque, è stato molto utile riuscendo a proteggerlo per altri trecentocinquant’anni, sino a quando nel 1979 è stato finalmente riscoperto permettendo di nuovo di ammirarlo in tutta la sua bellezza.
Ovviamente non esiste alcuna documentazione che lo riguardi e, per quanto si sia cercato di spiegare che una rappresentazione della Trinità con sembianze femminili potrebbe rimandare al significato di Dio inteso come madre, dunque legato alla stessa creazione, il suo reale significato resta oscuro e aggiunge ulteriore mistero su una rappresentazione già di per sé simbolicamente alquanto complessa.

Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 1 marzo 2025

 

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