Quando il Diavolo ci mette lo zam-Pino…

                                                                    Roberto D’Amico  


Non volendo fuorviare il lettore, chiarisco subito l’enigmatico titolo.
La mia idea iniziale era quella di scrivere un articolo sulla storia antica di Pino Torinese.
Durante le mie ricerche, però, inaspettatamente ho incontrato il Diavolo, entità a suo modo parte di quel Mondo dell’Insolito di cui mi occupo da anni, per cui al testo originario ho aggiunto man mano curiose annotazioni.
Come scherzosamente indicato nel gioco di parole che ho usato nel titolo, ho scoperto che il Diavolo ce l’ha messa proprio tutta per mettere il suo “zampino” a Pino e trovare un suo imperituro posto nel folclore locale... e pare proprio esserci riuscito!
La storia di Pino conserva, in effetti, leggende e tradizioni poco conosciute che lo riguardano e ho così pensato di inserirle nel racconto storico/archeologico di questo breve viaggio alla scoperta della nostra bellissima collina.

 


È noto che questa sia stata un luogo privilegiato e adatto all’insediamento di popolazioni fin dalla più remota antichità. I colli offrivano allo stesso tempo una buona difesa e ottimi punti di osservazione, erano ricchi di sorgenti, piccoli corsi d’acqua, legname, pietre per utensili e costruzioni, argilla per vasellame e selvaggina.
Anche la zona dove oggi sorge Pino è stata da sempre un posto ideale per viverci, come attestato dal ritrovamento qui effettuato nel 1904 di una lama di accetta litica levigata risalente al Neolitico.
Toponimi con il suffisso ligure -asco potrebbero, per altro, far ipotizzare l’esistenza di insediamenti preromani. (1) D’altro canto, è ormai accettata l’idea che la non lontana Carreum Potentia, la romana Chieri, il cui nome viene fatto derivare dal celtico «Kar» col significato di «città», sia sorta su un precedente insediamento celto-ligure. 
Allo stesso modo, mi piace pensare che anche il nome di Pino possa essere fatto risalire non al semplice nome dell’albero, secondo un’interpretazione, secondo me, piuttosto semplicistica, ma al termine celto-ligure “Penn” che indicava un’altura, una roccia, una punta. Penn era anche il nome di una divinità protettrice dei percorsi di montagna, molto celebrata dalle nostre parti. Del dio Penn, venerato da Liguri e Salassi, esistono moltissime testimonianze nella toponomastica delle alpi occidentali e da lui derivano gli stessi nomi delle Alpi Pennine e degli Appennini.
Purtroppo, dell’epoca celto-ligure non sono rimaste tracce e si possono fare solo congetture. La storia vera e propria, documentata, inizia in epoca romana, quando questa zona era un importante passaggio collinare che da Carreum Potentia portava ad Augusta Taurinorum.
Nel I secolo d.C., un acquedotto di circa cinque chilometri collegava Pino con Chieri.
Così scriveva in proposito, negli anni ’30, Riccardo Ghivarello, lo studioso locale che per primo riuscì ad identificarne i resti e a ricostruirne il tracciato: “nella campagna tra Chieri e Pino, e specialmente tra i vecchi della forte e laboriosa gente di Valle Miglioretti, l'antico Monchoyrasso o Moncajrasco ricordato nell'appendice al Trattato di Mairano del 1200 col nome di Canale o di Canà del Diavolo, si è serbata viva la memoria di un canale che, nel tempo dei tempi, proprio di là partiva per condurre a Chieri l'acqua di quelle sorgive”.(2)      
Ai lettori più attenti non sarà di certo sfuggita l’attribuzione data a quella antica opera di “Canale del Diavolo”.  
Devo dire di esserne rimasto sorpreso perché, se la presenza del demonio a Torino è esageratamente menzionata e pubblicizzata (si basti pensare all’entrata dell’Inferno sotto la Mole Antonelliana…), sulla collina è più difficile trovarne menzione.
Si può supporre che la strana associazione del Diavolo con i resti dell’acquedotto romano sia stata fatta durante il Medioevo, come un po’ ovunque in tantissimi altri casi (per restare vicino, a noi il “Ponte del Diavolo” di Lanzo Torinese o il “Buco del Diavolo” di Bibiana), per spiegare l’origine di manufatti di cui si era ormai persa memoria oppure perché ritenuti dalla Chiesa opera pagana o troppo arditi per poter essere stati realizzati da mano umana.
Per quanto riguarda il “Canale del Diavolo”, scriveva ancora il Ghivarello, esisteva una leggenda, molto diffusa tra il popolino, che tramandava come, durante l’assedio di Federico Barbarossa, esso non fosse in realtà servito per portare a Chieri dell’acqua, bensì del vino!
Un’altra storia, raccontava che il canale fosse stato anche utilizzato per spedire la posta, rinchiusa in custodie di pelle, dal castello di Montosòlo a Chieri.
Della “diabolica” opera non rimane che un unico frammento di un paio di metri di lunghezza, conservato all’interno del portico del Municipio di Chieri, che nulla ha a che vedere con l’immagine che tutti abbiamo del classico acquedotto romano.

              
La struttura, realizzata direttamente in uno scavo in terra, era composta da un conglomerato formato da pezzi di pietra serpentina spaccata mischiati ad una malta cementizia biancastra molto dura. All’interno di questo conglomerato veniva sagomata una canaletta di sezione rettangolare. La canaletta era poi coperta da tegole in laterizio e, infine, il tutto da terreno. La fase di costruzione è stata ben ricostruita graficamente nel disegno che si trova sul bel cartello segnaletico del Comune.
Tornando alla storia, diverse lapidi funerarie trovate nell’area di Pino Torinese confermano che tra il III ed il IV secolo d.C., una Gens Pollia qui fondò Mons Surdus, da cui sarebbero poi derivati i nomi medievali di Montesordo e Montosòlo.
Ritroviamo così nel X secolo un “castrum” di Montosòlo, risalente all’epoca longobarda ed il cui territorio comprendeva Pinnariano, Montolino e Moncairasco, appartenente all'abbazia di Nonantola, poi ceduto nel 1034 ai conti di Biandrate e nel 1075 all'Abbazia di Cavour, dalla quale venne sottratta nel 1098 dal vescovo di Torino Arduino.
Situata sulla cima di una piccola appuntita collina in una posizione particolarmente strategica, per la sua importanza militare, commerciale e politica questa fortificazione divenne oggetto di una secolare contesa tra Chieri e Torino, testimoniata da una storia tanto intricata e travagliata che è assai arduo riassumere.
Intorno ad essa prese vita un centro abitato che nel 1141 in una Bolla di Papa Innocenzo II è menzionato come Pinallo, che si ritiene essere la prima testimonianza del nome di Pino, anche se secondo altri la sua più antica attestazione sarebbe quella in forma di Pini del 1186.
Nel 1168, un accordo con i Chieresi consegnò il castello al vescovo, ma nel 1248-49 i Chieresi lo riconquistarono, per venire a loro volta scacciati da Tommaso II di Savoia che ne prese possesso sotto la protezione dell'imperatore Federico II e lo fece riedificare.  
Nel 1253 una nuova guerra tra Asti e Torino vide Tommaso II sconfitto. Savoia e Astigiani sottoscrissero allora una convenzione che assegnò a questi ultimi ogni diritto sul forte e le sue pertinenze, ma nel 1256 Tommaso II lo cedette ai Torinesi che nel 1257 lo affidarono ad Uberto di Cavaglià, i cui figli nel 1280 lo ricedettero al Comune di Chieri.
Grazie all'esame di un documento di quell’anno, gli storici hanno potuto ricostruire la forma del castello che, in realtà, era una rocca massiccia dominata da una torre a tre piani circondata da una duplice cinta quadrata di bastioni a quote più basse lungo i suoi ripidi pendii. (3)


     

A partire dalla fine del XIII secolo iniziò la lenta ma inesorabile decadenza del castello che nel 1452, ormai in completa rovina, fu venduto dal comune di Chieri ad un privato cittadino, per non essere mai più ricostruito. Oggi non ne rimane che la torre.
Come sempre accade, laddove la storia cessa iniziano le leggende…
Così, sin dal XVII secolo si iniziò a parlare dell’esistenza di una galleria segreta che avrebbe collegato la torre al Convento dei Carmelitani, che distava oltre cinquecento metri. Al di là della difficoltà di riuscire a realizzare un tunnel data la topografia del luogo, questa tradizione è priva di ogni fondamento storico, essendo il convento stato fondato nel 1494 quando il castello era ormai in rovina da almeno un secolo. Essa nacque, probabilmente, a causa del ritrovamento di alcuni cunicoli otturati dal terriccio che si dipartivano dalla base della torre, forse antiche vie di fuga o di passaggio verso i bastioni inferiori.  
Ma ecco ricomparire il nostro “amico”!
La torre iniziò, infatti, ad essere chiamata “Torre del Diavolo”. Una seconda sorprendente e inspiegabile attribuzione al demonio.
Oggi, assai più propriamente denominata “Torre di Montosòlo”, è proprietà privata e ospita una struttura ricettiva molto particolare ed esclusiva.


Alta circa 12 metri, la sua sagoma quadrangolare, la cui origine militare è evidenziata dalle feritorie o balestriere che si aprono sulle sue pareti, circondata com’è dal bosco, può sfuggire alla vista di un visitatore disattento.
Ho avuto il piacere di incontrare il proprietario e grande appassionato di storia locale Lorenzo Dellavalle, che mi ha molto cortesemente fatto visitare questo importante pezzo di storia di Pino Torinese.
Come molte altre torri coeve, la sua base, fino ad un’altezza di circa un metro, venne costruita utilizzando grandi pietre di fiume cementate, mentre il resto è formato da grossi mattoni regolari.
L’interno è stato adattato conservando le caratteristiche originali della costruzione.
Dalla terrazza sommitale la vista è impagabile. A 360 gradi si possono vedere le colline e le pianure circostanti ed un vasto tratto di arco alpino, dal Monviso al Cervino, giustificando appieno la storica contesa per avere il controllo di un punto di osservazione tanto privilegiato.
Con il Dellavalle abbiamo anche scambiato due chiacchiere sul curioso collegamento tra la torre e il Diavolo che, da quanto si può sapere, non sembra avere alcuna spiegazione o giustificazione plausibile, in quanto non si ricordano riti pagani, eventi truci, tradizioni, leggende, personaggi o apparizioni macabre ad essa legati.
È stato ipotizzato che forse fu la superstizione popolare che lo fece per spiegare la sua miracolosa sopravvivenza alla rovina oppure perché, nonostante le proteste della Chiesa, ci avesse abitato lo scomunicato e per nulla amato conte Tommaso II.
Il Dellavalle, “pinese” doc, ricorda che un tempo in paese si raccontava che qui fosse in passato stata trasferita la pratica dell’incinerazione dei cadaveri, ma anche in questo caso non si tratta che di dicerie popolari.
Lasciando con dispiacere il resort di “Torre di Montosòlo” concludo questo veloce percorso a metà strada tra storia e leggenda.
Spero di essere riuscito a stimolare nei lettori la voglia di andare a visitare questi luoghi, magari già conosciuti, con un’ottica diversa.
Nel caso qualche torinese decidesse di farlo, gli suggerisco di prendere la Strada del Traforo di Pino e, dopo meno di un chilometro da Sassi, fare una breve sosta alla “Casa del Diavolo”. Tanto per introdursi in atmosfera…
Si tratta di Villa Capriglio, costruita ne1706 dalla famiglia Marchisio come residenza per ospitare i nobili torinesi. Nel 1746 la villa fu venduta a Giovanni Paolo Melina di Capriglio, acquisendo il suo attuale nome.
In realtà, non c’è molto da vedere e, anzi, una visita interna è sconsigliabile per il grave stato di abbandono e degrado in cui versa il palazzo, ma l’alone di mistero che lo avvolge lo rende a modo suo affascinante.
Non voglio togliervi il piacere della scoperta, per cui non vi svelo perché gli fu assegnato quel suo diabolico soprannome.
Buon divertimento!

Note:
1)   1) Vedasi l’articolo “Le sorprendenti radici dell’antico ligure nei toponimi piemontesi” su Civico20news del 22 dicembre 2024.
2)   2) Tratto dal libro “L’acquedotto di Chieri”, Giuseppe Anfossi Editore, 1932. Riccardo Ghivarello è autore di molti libri che costituiscono un sicuro riferimento storico per ogni appassionato di storia locale, tra i quali “La storia dell’antica Chieri” (1947) e “Il Castello di Montesòlo e Pino Torinese” (1954).

 

 3) La piantina è tratta da “La collina torinese. Quattro passi tra storia, arte e archeologia” 1998-2003 Ed. GAT.  Consiglio anche l’interessante e completo studio “Montosolo nel Duecento. Forma e funzione di un castello fra Torino e Chieri” di Enrico Lusso, inserito in “Luoghi di strada nel Medioevo. Fra il Po, il mare e le Alpi Occidentali” a cura di Giuseppe Sergi, Scriptorium, 1996.
4)     4) Siti utili da consultare per approfondimenti

Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 18 aprile 2025

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