Il “cranio allungato” della necropoli di Collegno non è alieno!
Roberto D’Amico
Credo che tutti
abbiano almeno una volta sentito parlare dell’esistenza di crani dalla forma allungata,
soprattutto dopo l’uscita del film “Indiana Jones e il regno dei teschi di
cristallo” nel 2008 che ha contribuito a diffondere l’ipotesi di una loro
origine aliena.
Quello della
deformazione artificiale dei crani, riscontrabile presso una grande varietà di
culture di ogni parte del globo che coprono un lasso di tempo che va da 12.000 anni
fa ad oggi, è in effetti un enigma archeologico/antropologico relativamente
moderno. Il tema, indubbiamente affascinante, era infatti noto da tempo, ma
solo negli ultimi decenni ha generato nuove ipotesi e suggestioni, spesso anche
abusandone in modo eccessivo e inappropriato per giustificare teorie fantasiose.
Si tratta di una
pratica comunemente applicata in culture fra loro del tutto distinte sia dal
punto di vista geografico che da quello cronologico alterando lo sviluppo del
cranio di un bambino legandogli il capo tra due assi di legno oppure
fasciandolo strettamente con delle bende a partire da un mese dopo la nascita e
per una durata che poteva essere dai sei mesi ai due anni. La casistica in
realtà accomuna, semplificando, diverse tipologie di deformazioni. Infatti, si
possono distinguere teste allungate, teste schiacciate e teste coniche. In
tutti i casi, questa caratteristica
veniva spesso accentuata adottando capigliature e copricapi che mettevano ancor più in risalto l’anomala
forma del cranio..
Nel periodo
compreso tra il 300 e il 600 d.C. tutte le popolazioni provenienti dalle steppe
e dall’est europeo avevano questa usanza, sia per gli uomini che per le donne.
Più o meno nello
stesso periodo, in Asia, la pratica della deformazione del cranio fu introdotta
in Battriana e Sogdiana dalle tribù che crearono l’Impero Kusana.
Anche nel
continente americano i Maya, gli Olmechi (dei quali sono famose le statuette
con testa lunga), gli Inca e alcune tribù di nativi nordamericani praticavano
questo costume, coì come il popolo delle Bahamas.
Sono stati
segnalati casi tra gli aborigeni australiani e, nel XIX secolo, casi isolati
anche a Tahiti, Samoa, Hawaii e nelle Nuove Ebridi.
Nessuno ne parla, ma anche in
Italia esistono esempi di crani allungati. Sono relativamente pochi, ad oggi si
parla di undici casi in tutto. Nella tavola allegata (1) possiamo vedere i
reperti più celebri, tra cui spiccano i due crani di Collegno, che sono stati i
primi teschi caratterizzati dall’elongazione craniale ad essere riconosciuti nel nostro paese.
Solo di recente, tuttavia, si è
posta attenzione al particolare del cranio allungato, per questo motivo le
segnalazioni negli ultimi anni in tutta Europa si sono moltiplicate rapidamente
e probabilmente in futuro saranno sempre più numerose.
Sono personalmente convinto che
la soluzione del presunto “costruito” enigma dei crani allungati sia molto più
semplice di quanto si continui a dire. Essi sono, infatti, chiaramente
riconducibili alla grande categoria di deformazioni e mutilazioni che quasi
tutti i popoli hanno praticato. o praticano ancora, sotto l’influenza di credenze
magiche, spirituali, religiose, culturali, mediche o sociali. Si pensi al
devastante allungamento del collo delle “donne giraffa” della tribù di etnia
tibeto-birmana Padaung, all’allargamento dei lobi delle orecchie e delle
labbra, alla limatura o all’avulsione dei denti, alla deformazione dei piedi in
Cina, alle scarnificazioni, alle incisioni o alle cicatrici profonde, alla
perforazione di setto nasale, guance o labbra, ai tatuaggi e ai molti altri
esempi di modifiche corporee, anche molto più cruenti, associati a riti di
passaggio o di iniziazione, alla sessualità, all’appartenenza ad uno status
sociale e, talvolta, anche solo a diversi canoni estetici di bellezza. Forse
l’allungamento dei crani fa semplicemente parte di queste apparenti follie di
significato e simbologia perfettamente umani, così come perfettamente umane
sono le fantasiose ipotesi che si sono volute inventare per spiegarli.
- Tratta da: Viva, S., Lubritto, C., Cantini, F. et al. Evidence of Barbarian migrations and interpersonal violence during the Gothic War in sixth-century Tuscany: the case of the Goth horseman from San Genesio (Pisa). Archaeol Anthropol Sci 14, 39 (2022).
- Caterina Giostra, Luisella Pejrani Baricco, Emmanuele Petiti, “Il gruppo familiare goto di Collegno”, in “Du Royaume Goth au Midi Mérovingien» Actes des 34e Journées d’Archéologie Mérovingienne de Toulouse, 6, 7, et 8 novembre 2013 - Bordeaux 2019. Articolo completo e riccamente illustrato con le fotografie dell’archivio della Soprintendenza per i Beni archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, da cui abbiamo tratto quelle della Necropoli ed ella tomba centrale del guerriero goto.
- Per approfondire:
- “Dalle steppe al Mediterraneo. Popoli, culture, integrazione”, Atti del Convegno internazionale di studi, “Fondazioni e rituali funerari delle aristocrazie germaniche nel contesto mediterraneo” (Cimitile-Santa Maria Capua Vetere, 18-19 giugno 2015), Napoli, 2017, a cura di Carlo Ebanista e Marcello Rotili.
- Bedini E, Bartoli F,
Bertoldi F, Lippi B, Mallegni F, Pejrani Baricco L (2006) “Le sepolture gote di
Collegno (TO): analisi paleobiologica. In: Guerci A, Consigliere S, Castagno “Il
processo di umanizzazione, Atti del XVI Congresso degli antropologi italiani,
Genova, 29–31 ottobre 2005. Edicolors Publishing, Milano.
- Bedini E, Bertoldi F (2006) “Paleobiologia
e tradizioni culturali dei primi gruppi di origine germanica stanziati in
Piemonte: i Goti”. Anthropos & Iatria.
- Maurizio Buora, “La deformazione dei crani in Europa dal tardoantico all’alto medioevo. Un aggiornamento.” In ARCHEOLOGIA DI FRONTIERA 5-2006, Comune di Udine, Museo Archeologico, Società Friulana di Archeologia.
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