Una settecentesca Loggia Massonica a Rorà?

Roberto D’Amico

 

Nella sua interessantissima monografia “La Massoneria piemontese - Misteri, storia e verità” (Editrice il Punto, Piemonte in Bancarella, 2011), la cui lettura mette in evidenza l’approfondita e meticolosa ricerca svolta dall’autore, lo studioso torinese Alberto Bracco scrive: “Nel piccolo comune di Rorà esiste tuttora un vecchio edificio adibito a museo. Sulla facciata si può osservare un affresco, in gran parte conservato, in cui sono riconoscibili, ai due lati della porta d’ingresso sulla via, le immagini di due rozze colonne sul cui capitello è disegnato un mappamondo e, sull’altra, tracce di frutti (melograni?). Sopra a tutto questo campeggia ancora la scritta: “Hotel du Chamois”. Le apparenze concordano nell’indurre l’ipotesi che in quell’albergo si riunisse una Loggia, con la partecipazione del massone conte di Luserna e di Rorà.”
Questo particolare riferimento mi ha incuriosito non poco, essendo stata la Val Pellice, dove si trova il piccolo comune di Rorà, mia residenza estiva da bambino e ragazzo per molti anni. Quindi, dopo le indispensabili ricerche preliminari, mi sono recato ad indagare sul posto quell’intrigante pezzo di storia insolita a me sconosciuto.
Dopo poco più di un’ora di viaggio, giunto nel piccolo e delizioso paesino di montagna, grazie ai suoi inconfondibili affreschi non ci ho messo molto ad individuare l’edificio citato dal Bracco, situato proprio lungo la strada principale. 


Scopro che il museo di cui parla il libro è il “Museo Valdese, Etnografico e della Pietra di Luserna”, parte del sistema ecomuseale delle Valli Valdesi fondato nel 1954 e da allora ospitato in quella che è forse la più antica casa di Rorà. È evidente la cura con cui questo storico edificio viene mantenuto.
Parcheggiata l’auto, in pochi passi eccomi davanti all’oggetto meta del mio viaggio.
Devo ammettere che ho provato un certo effetto trovarmi di fronte alla vecchia porta d’ingresso sovrastata da quell’antico affresco murale ancora abbastanza ben conservato nonostante gli evidenti numerosi rifacimenti e le grossolane sovrapposizioni.
Il nome della locanda è evidenziato dalle figure dei tre camosci che contornano la scritta “Hotel du Chamois”, essenziale per i tempi in cui l’analfabetismo era la norma.  Altre scritte e altri disegni, secondo l’usanza dell’epoca, indicavano che cosa offrisse la casa: vini, liquori e piatti con vivande calde.
Salta all’occhio il disegno geometrico a tratto delle due colonne, unite da due traverse orizzontali, dalle quali si dedurrebbe l’antica destinazione ad ospitare una Loggia Massonica. Sulla colonna di destra è ancora ben visibile un mezzo mappamondo, mentre su quella di sinistra il tempo ha purtroppo cancellato ogni segno di quelli che il Bracco indicava come possibile rappresentazione di frutti.
A dare risalto a tutta la raffigurazione vi è poi un particolare architettonico, secondo me, assai rilevante: sopra le due colonne è stato infatti aggiunto un falso architrave sporgente in stucco che sembra riecheggiare quello di un tempio antico. La sola presenza di questo sopraccolonnio completa e trasforma l’insieme della rappresentazione dandogli un qualche senso di tridimensionalità e facendolo apparire come un vero e proprio ingresso importante.

      


Non è possibile sapere a quando gli affreschi originali possano risalire. Secondo il Bracco potrebbero essere della fine del XVIII secolo, come per altro la stessa tipologia dell’insegna sembrerebbe comprovare. In ogni caso, non vi è alcun dubbio che per quell’epoca essi rappresentino figure alquanto inusuali per un’osteria di un piccolo paesino di montagna. Quindi viene effettivamente da pensare che essi potessero celare altri significati.
Scrutando tra i veli oscuri della storia di quegli anni è forse possibile scoprire un qualche spiraglio di luce.
È noto, ad esempio, che a partire dal 1798, anno in cui ebbe inizio l’occupazione napoleonica, il Piemonte vide la nascita di un gran numero di logge massoniche. Di esse facevano parte, oltre ovviamente ad ufficiali e autorità francesi, esponenti piemontesi vicini alle idee della rivoluzione. Tra questi, figura il Conte di Luserna e Rorà che, non a caso, acquisì il convento dei frati riformati di Bibiana, confiscato non appena l’ordine monastico fu abolito dal governo della neonata Repubblica Piemontese. Possiamo immaginare che questa concessione gli venne fatta come riconoscimento per il suo sostegno, ma anche per fidelizzarlo ed assicurarsi il suo supporto attraverso il ruolo che egli ricopriva nelle amministrazioni locali.
Non sapremo mai se egli fosse veramente un convinto sostenitore degli ideali di libertà, fratellanza e uguaglianza, tuttavia, un Conte di Luserna e Rorà risultava già nell’elenco dei membri delle logge della Savoia e del Piemonte incluso nel “Calendrier Maçonnique” compilato nel 1791 dalla “Gran Lodge National de Genève”.
Si dice che fu proprio durante la trasformazione del convento di Bibiana in “Villa Castelfiore”, che il Conte fece costruire la strada secondaria che da questo palazzo conduceva a Lusernetta, per potersi muovere in fretta e liberamente al di fuori della trafficata strada principale situata sull’altro lato del torrente Pellice. Non si può non evidenziare che, proseguendo lungo questa strada con un breve allungo, il Conte avrebbe potuto facilmente e nascostamente raggiungere Rorà, che da Bibiana dista in tutto una decina di chilometri (un’ora circa di viaggio a cavallo o in carrozza).
In conclusione, pur non esistendo testimonianze certe e restando nel campo delle congetture, è indubbio che l’ipotesi che l’Hotel du Chamois avrebbe potuto ospitare le riunioni di una loggia massonica è tutt’altro che campata in aria.
Con questi pensieri in mente, ho varcato la soglia della casa per una doverosa visita al museo. Si accede in un corpo centrale formato da una vasta cucina con sottostante stalla a volta, cui venne aggiunta un’ala laterale costituita da una stanza e da una cantina.  
Oggi, il piano terreno ospita nella parte sinistra la storia dei Cavatori della Pietra di Luserna, mentre nella parte destra si trovano notizie sui “Brusapère”, letteralmente “brucia pietre”, lavoratori che ottenevano la calce cuocendo le rocce calcaree frantumate nelle loro enormi fornaci, e sull’Agricoltura del territorio.
Al piano di sopra, ci si ritrova invece nell’esposizione Etnografica, contenente una raccolta di oggetti di vita quotidiana, che ricostruisce come si viveva un tempo nelle valli di montagna Valdesi.


 È stato facile far volare la fantasia e immaginare i membri della loggia riuniti alla luce soffusa delle candele nella stanza principale della taverna. Forse si tratta solo di suggestione, l’ambiente non è certamente quello cui dovevano essere abituati i signori dell’epoca ed è difficile pensare ad un uso rituale di un vero e proprio Tempio, Ma la posizione isolata e strategica del luogo sarebbe stata perfetta per ospitare incontri riservati al riparo da occhi indiscreti.
Anche senza le presunte riunioni massoniche, grazie alle quali avrebbe certamente ricevuto dei buoni compensi, l’Hotel du Chamois dovette comunque svolgere un ruolo importante nella vita quotidiana della comunità locale. Viandanti e commercianti si sarebbero dovuti necessariamente fermare lì per rifocillarsi e possiamo pensare che l'aura di mistero che circondava il luogo dovesse essere già presente allora.
Nulla nasce dal nulla e sono convinto che furono proprio quelle voci su incontri segreti di personaggi importanti e di discussioni sussurrate attorno al fuoco a far nascere l’alone di leggenda che ancora oggi sopravvive.
In ogni caso, con la fine di Napoleone e la Restaurazione tutto fu rapidamente cancellato. Tutto, tranne quelle enigmatiche colonne dipinte.
L’Hotel du Chamois, con i suoi misteri, resta come silenzioso testimone di un passato carico di significato e di un'epoca che, piaccia o no, ha portato grandi cambiamenti sociali e profonde trasformazioni intellettuali e culturali nella nostra Regione.


Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 10 agosto 2025


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