I misteri insoluti del dimenticato Arcangelo di Valgioie
Roberto D’Amico
All’interno del
porticato d’accesso che abbellisce la facciata di questo prestigioso palazzo si
trovano il busto di Francesco Marchini e due targhe marmoree, una del 1788 che
ricorda la visita di Re Vittorio Amedeo III e dei suoi figli e un’altra del
1931 che commemora la donazione del palazzo al Comune. Ma sotto quel portico vi è anche un vero piccolo
gioiello, sconosciuto ai più e per
nulla pubblicizzato. Purtroppo, essendo malamente sistemato su una parete d’angolo,
semi nascosto, se non se ne conosce la presenza è molto facile non farci caso e
passare oltre.
Si tratta di una porzione di affresco di pregevole fattura che ritrae quello che viene
genericamente e semplicisticamente definito come un angelo, con il capo aureolato ed un viso dall’espressione dolce abbellito
da lunghi capelli ramati sapientemente acconciati. La figura è dotata di
delicate ali bordate composte da candide piume elegantemente dispiegate, e indossa,
sopra un fine camice bianco, una ricca e raffinata veste giallo/arancione
decorata con gigli stilizzati sovraimposti a stampo. Sono visibili diversi segni
che sembrano essere di scalpellature.
Confrontando l’affresco attuale con una sua fotografia scattata da Claudio Servalli una ventina di anni fa (1) è evidente che è stato oggetto di un restauro che ne ha egregiamente evidenziato la luminosità dei colori e i dettagli più minuti. Presumo che sia dopo quel restauro che venne apposto il vetro che ora protegge convenientemente l’opera da ulteriore degrado.
Io ne ho casualmente scoperto l’esistenza
leggendo il prezioso libro
di Alfredo Gerardi “Valgioie
– 1295 1995 – settecento anni di storia” (2) che ha risvegliato immediatamente lo spirito del Ricercatore
dell’Insolito che è in me.
La particolarità curiosa è che non si tratta di un’opera di Giaveno,
bensì di un affresco appartenuto ad una vecchia cappella dedicata a San Rocco,
un tempo sita in Borgata Chiodrero di Valgioie, abbattuta negli anni ’30 del
secolo scorso.
Quando il 1° gennaio del 1928 il Comune di Valgioie venne
abolito e accorpato al Comune di Giaveno, nell’area valgioiese vennero
realizzate diverse opere moderne e innovative. Le più importanti furono l’ampliamento della
provinciale da Borgata Chiodrero al Colle Braida, che allora era una poco più
di una disagevole strada sterrata di montagna, e la sistemazione dello stesso Colle
Braida dove venne costruita una fontana e creato uno spiazzo capace di ospitare
fino a cento autovetture.
Fu proprio per permettere l’allargamento
della strada che, nel 1933 la piccola chiesetta, posta
proprio in mezzo al bivio all’imbocco del nuovo tratto, venne sacrificata e demolita.
In proposito, il Gerardi scrisse che la
demolizione avvenne “…con il consenso delle autorità civili ed ecclesiastiche;
l’angelo cinquecentesco della facciata veniva rimosso con una tecnica di
ribaltamento dal pittore Maurizio Guglielmino … dopo il benestare della
Sovraintendenza ai Monumenti del Piemonte.”
L’affresco rimosso venne quindi sistemato nella sua posizione attuale.
Sempre dal Gerardi
apprendiamo che l’angelo risalirebbe al ‘500 e sarebbe opera del pittore Secondo Del Bosco di Poirino, autore del grande affresco
dell’Assunzione del 1505 che giganteggia su una parete della chiesa della vicina
Sacra di San Michele (3).
Non sono un esperto d’arte ma, confrontandolo con quelli della Sacra, è evidente che il nostro angelo mostra una cura assai maggiore nei dettagli, ad esempio nel volto e nelle pieghe delle vesti, discostandosi dalle usuali contemporanee raffigurazioni assai più semplici che decoravano chiese e cappelle di quell’epoca.
Per cercare di reperire qualche informazione in più sulla scomparsa
cappella di San Rocco e sul suo frammento di affresco, dei quali nessuno in paese ha più memoria, mi sono rivolto agli amici della redazione de “La Gazza Valgioiese”
(4), una rivista culturale semestrale curata con passione da persone che
volontariamente condividono la missione di mantenere vive la storia e le tradizioni
di quel bellissimo e ridente comune dell’Area Metropolitana Torinese.
Mi sono inizialmente
concentrato sulla figura di quell’angelo. Perché un angelo come quello avrebbe
dovuto essere affrescato su una cappella di San Rocco? È forse possibile capire
di quale affresco facesse parte e magari dargli un’identità?
Secondo l’agiografia
cattolica un angelo apparve a San Rocco in una grotta nei pressi di Piacenza per
avvisarlo che aveva contratto la peste e per curarlo incidendogli il bubbone
sulla coscia con uno stilo. Sono molti i dipinti dei secoli che vanno dal XIV
al XVI che raffigurano questo evento miracoloso, in nessuno di essi però l’angelo
è rappresentato come quello valgioiese e anche l’ambientazione è sempre cupa. Il
nostro raffinato affresco, già di per sé abbastanza inconsueto per una cappella
di montagna dell’epoca, pare essere altro.
Per quanto riguarda la
cappella di San Rocco si dice che essa venne edificata per
iniziativa degli abitanti sopravvissuti a un’epidemia di peste come
ringraziamento per lo scampato contagio e la fine del terribile morbo.
Probabilmente si tratta dell’epidemia del 1576 o di quella del 1598, visto che
esiste una menzione della cappella risalente al 1604, ma l’angelo avrebbe
potuto essere aggiunto in un tempo successivo, magari dopo la più terribile
delle epidemie, quella del 1630-32. In tal caso, dunque, l’affresco potrebbe anche
essere più giovane di un secolo e risalire a metà ’600.
A questo punto mi sono
domandato: e se tutta la storia fosse completamente diversa?
Osservando con maggiore
attenzione la posizione inginocchiata, l’espressione serena e
adorante del volto, la ricchezza degli abiti, le pareti della stanza del
palazzo in cui appare, penso di essere riuscito a identificare quell’angelo che,
al di là di ogni ragionevole dubbio, è l’Arcangelo Gabriele Annunziante.
La parte mancante dell’affresco doveva dunque contenere non già San
Rocco sofferente, ma la figura della Beata Vergine Maria. Considerando la
posizione della parte ancora visibile dell’avanbraccio destro, possiamo chiaramente
immaginare che, rispettando la più classica iconografia cristiana del tempo di
cui esiste un’ampissima
casistica, il Messaggero Divino puntasse la mano benedicente
verso di lei, mentre il suo pugno sinistro doveva racchiudere un giglio,
simbolo di purezza e verginità (che tra l’altro compare anche stilizzato sulla
sua veste).
Se dunque il dipinto
raffigurava l’Annunciazione, questa era stata effettivamente affrescata sul
retro della cappella di San Rocco in quella strana posizione o quel suo
frammento aveva invece una diversa provenienza? E cosa poteva averne causato la
distruzione?
Ovviamente è molto difficile rispondere alla prima domanda e forse non
saremo mai in grado di conoscere la verità, ma è tuttavia curioso scoprire, che
non molto lontano, verso Borgata Chiappero, sorgesse una cappella dedicata alla
Madonna, molto importante per la comunità, visto che attorno ad essa si
snodavano le processioni della prima domenica del mese per “ottenere il
perdono”. Oltre ad una sua breve
menzione del 1604, non si è conservata alcuna memoria di quella chiesetta, ma
non c’è dubbio che il dipinto di quell’Arcangelo sarebbe stato molto più
appropriato sulla sua facciata o al suo interno.
La
storia ci può invece aiutare a rispondere alla seconda domanda. Nell'autunno
del 1693 le truppe del generale Catinat depredarono, dettero alle fiamme e
distrussero completamente la medievale chiesa parrocchiale valgioiese dedicata
a San Giovanni Battista, di cui non rimase che il campanile.
È
assai probabile, anche se non vi sono notizie in proposito, che anche la
cappella di San Rocco, che distava solo un centinaio di metri dalla
parrocchiale, e quella della Madonna abbiano subito la stessa sorte. Si può
supporre che fu in quella occasione che la maggior parte della pittura venne cancellata.
Verosimilmente l’affresco dell’Annunciazione, anche se resta da capire
perché venne posizionato in quel modo e spiegare la mancanza di ogni anche più
piccola traccia del resto dell’opera, appartenne effettivamente alla cappella
di San Rocco e venne vandalizzato dai francesi nel 1693.
Ma esiste anche la possibilità che il frammento non appartenesse a San Rocco
ma facesse parte di un dipinto eseguito su un’altra chiesa devastata
dall’esercito francese, forse la cappella mariana oppure la stessa
parrocchiale, e che dunque l’Arcangelo fu “salvato e recuperato” una prima
volta nel XVII secolo e murato sulla parete più visibile di San Rocco.
L’enigma dell’origine dell’angelo, anzi, dell’Arcangelo valgioiese deve
ancora essere risolto e le indagini dovranno essere ampliate a 360 gradi nella
speranza di poter reperire altri documenti.
In conclusione, non mi resta che consigliare
vivamente agli amanti di storia, come me, di andare a fare una visita al
Palazzo Marchini per osservare di persona questo bellissimo Arcangelo Gabriele.
Ne vale certamente la pena, perché è un’immagine che ha un fascino davvero
particolare e sembra comunicare con chi la sta osservando.
Sarebbe vivamente auspicabile, nel frattempo,
che il Comune di Giaveno provvedesse in tempi brevi a liberare da cavi e
contatori lo spazio in cui è affisso l’affresco e magari anche ad apporre una piccola
targa descrittiva.
Essendo un sognatore, mi piace infine immaginare
che in futuro (magari nel centenario della sua rimozione) una copia dell’Arcangelo
dimenticato possa essere sistemata a Valgioie su un pilone proprio nel luogo in
cui sorgeva la cappella di San Rocco.
È così che la Storia dovrebbe rivivere.
Sarebbe un bel lascito per Valgioie,
soprattutto per i giovani che hanno il diritto di conoscere e celebrare ciò che
è appartenuto al loro paese.
Personalmente ritengo che nulla sia impossibile.
Basterebbe solo un po’ di buona volontà e che
gli amministratori di oggi ritrovassero lo stesso spirito illuminato di coloro
che li hanno preceduti e per ben cinque secoli si sono adoperati per permettere
a quest’opera, alla quale evidentemente la comunità assegnava un grande valore,
forse non solo religioso, di giungere fino a noi.
Credo che dovrebbe essere un atto dovuto anzitutto
nei loro confronti.
Note
1)
Tratto da L’angelo rubato, anzi salvato - ScuolaGuido.
2) Alfredo Gerardi, “Valgioie 1295 - 1995 settecento anni di storia”, Edizioni Enterprise, 1995.
3)
Particolare dell’affresco
tratto da Sacra di San Michele.
4) Per
questo giornale ho scritto un primo articolo su questo tema intitolato “L’angelo
dimenticato di Valgioie”, apparso sul numero di luglio 2024, che
potete trovare insieme a tante altre notizie sulla pagina Facebook: La Gazza Valgioiese | Facebook.
Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 7 settembre 2025
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