I misteri insoluti del dimenticato Arcangelo di Valgioie

 

Roberto D’Amico

 

Il Piemonte è ricco di meraviglie archeologiche ed artistiche, molte delle quali, non essendo di particolare pregio, restano accantonate come opere di secondo, terzo o quarto livello. Per mia indole, ponendo attenzione ai talvolta flebili segnali che ci giungono dal passato, ho sempre cercato di scoprire questi brandelli di storia ignorati per provare a ridare loro una giusta dignità.
È questo il caso di un affresco che è possibile vedere nella splendida villa Marchini, in origine “Villa Grondana”, che ospita il Municipio di Giaveno. Palazzo storico, fu costruito dall’aristocratica famiglia di origine spagnola Molines che lo abitò dal 1553 al 1901. Quando l’ultimo erede della casata morì lasciò in eredità la villa e il parco al suo segretario, Francesco Marchini; il tutto passò poi alla sorella di lui, Maria Teresa che, essendo anche lei ultima della sua famiglia, nel 1926 ne fece dono alla comunità giavenese.

            

All’interno del porticato d’accesso che abbellisce la facciata di questo prestigioso palazzo si trovano il busto di Francesco Marchini e due targhe marmoree, una del 1788 che ricorda la visita di Re Vittorio Amedeo III e dei suoi figli e un’altra del 1931 che commemora la donazione del palazzo al Comune. Ma sotto quel portico vi è anche un vero piccolo gioiello, sconosciuto ai più e per nulla pubblicizzato. Purtroppo, essendo malamente sistemato su una parete d’angolo, semi nascosto, se non se ne conosce la presenza è molto facile non farci caso e passare oltre.

Si tratta di una porzione di affresco di pregevole fattura che ritrae quello che viene genericamente e semplicisticamente definito come un angelo, con il capo aureolato ed un viso dall’espressione dolce abbellito da lunghi capelli ramati sapientemente acconciati. La figura è dotata di delicate ali bordate composte da candide piume elegantemente dispiegate, e indossa, sopra un fine camice bianco, una ricca e raffinata veste giallo/arancione decorata con gigli stilizzati sovraimposti a stampo. Sono visibili diversi segni che sembrano essere di scalpellature.

Confrontando l’affresco attuale con una sua fotografia scattata da Claudio Servalli una ventina di anni fa (1) è evidente che è stato oggetto di un restauro che ne ha egregiamente evidenziato la luminosità dei colori e i dettagli più minuti. Presumo che sia dopo quel restauro che venne apposto il vetro che ora protegge convenientemente l’opera da ulteriore degrado.  

 

Io ne ho casualmente scoperto l’esistenza leggendo il prezioso libro di Alfredo Gerardi “Valgioie – 1295 1995 – settecento anni di storia” (2) che ha risvegliato immediatamente lo spirito del Ricercatore dell’Insolito che è in me.

La particolarità curiosa è che non si tratta di un’opera di Giaveno, bensì di un affresco appartenuto ad una vecchia cappella dedicata a San Rocco, un tempo sita in Borgata Chiodrero di Valgioie, abbattuta negli anni ’30 del secolo scorso.

Quando il 1° gennaio del 1928 il Comune di Valgioie venne abolito e accorpato al Comune di Giaveno, nell’area valgioiese vennero realizzate diverse opere moderne e innovative.  Le più importanti furono l’ampliamento della provinciale da Borgata Chiodrero al Colle Braida, che allora era una poco più di una disagevole strada sterrata di montagna, e la sistemazione dello stesso Colle Braida dove venne costruita una fontana e creato uno spiazzo capace di ospitare fino a cento autovetture.

Fu proprio per permettere l’allargamento della strada che, nel 1933 la piccola chiesetta, posta proprio in mezzo al bivio all’imbocco del nuovo tratto, venne sacrificata e demolita.

In proposito, il Gerardi scrisse che la demolizione avvenne “…con il consenso delle autorità civili ed ecclesiastiche; l’angelo cinquecentesco della facciata veniva rimosso con una tecnica di ribaltamento dal pittore Maurizio Guglielmino … dopo il benestare della Sovraintendenza ai Monumenti del Piemonte.

L’affresco rimosso venne quindi sistemato nella sua posizione attuale.

Sempre dal Gerardi apprendiamo che l’angelo risalirebbe al ‘500 e sarebbe opera del pittore Secondo Del Bosco di Poirino, autore del grande affresco dell’Assunzione del 1505 che giganteggia su una parete della chiesa della vicina Sacra di San Michele (3).

Non sono un esperto d’arte ma, confrontandolo con quelli della Sacra, è evidente che il nostro angelo mostra una cura assai maggiore nei dettagli, ad esempio nel volto e nelle pieghe delle vesti, discostandosi dalle usuali contemporanee raffigurazioni assai più semplici che decoravano chiese e cappelle di quell’epoca. 

 

Per cercare di reperire qualche informazione in più sulla scomparsa cappella di San Rocco e sul suo frammento di affresco, dei quali nessuno in paese ha più memoria, mi sono rivolto agli amici della redazione de “La Gazza Valgioiese” (4), una rivista culturale semestrale curata con passione da persone che volontariamente condividono la missione di mantenere vive la storia e le tradizioni di quel bellissimo e ridente comune dell’Area Metropolitana Torinese.

È così che, durante la preparazione della mostra “Valgioie, n’vir a j’ere” (“Valgioie, c’era una volta”) da loro organizzata la scorsa estate, l’appassionato ricercatore e studioso Andrea Maritano ha scovato nella sua importante ed unica collezione di fotografie d’epoca, un paio di cartoline di Borgata Chiodrero antecedenti l’anno in cui la cappella venne abbattuta. Questi rari ed eccezionali documenti fotografici consentono di avere un’idea abbastanza chiara di come fosse quella chiesetta e, con grande emozione, le sorprese non sono mancate!
Inaspettatamente, infatti, la porzione di affresco, che era già allora la stessa che possiamo ammirare oggi, non si trovava sulla facciata della cappella come scritto dal Gerardi, bensì sulla parete opposta in una posizione elevata e decentrata rispetto all’unica finestra. Questo particolare, per nulla secondario, potrebbe mettere in discussione la ricostruzione storica sin qui immaginata scatenando in me un gran numero di dubbi e domande, portandomi a formulare nuove suggestive ipotesi. 

 

 

Mi sono inizialmente concentrato sulla figura di quell’angelo. Perché un angelo come quello avrebbe dovuto essere affrescato su una cappella di San Rocco? È forse possibile capire di quale affresco facesse parte e magari dargli un’identità?

Secondo l’agiografia cattolica un angelo apparve a San Rocco in una grotta nei pressi di Piacenza per avvisarlo che aveva contratto la peste e per curarlo incidendogli il bubbone sulla coscia con uno stilo. Sono molti i dipinti dei secoli che vanno dal XIV al XVI che raffigurano questo evento miracoloso, in nessuno di essi però l’angelo è rappresentato come quello valgioiese e anche l’ambientazione è sempre cupa. Il nostro raffinato affresco, già di per sé abbastanza inconsueto per una cappella di montagna dell’epoca, pare essere altro.

Per quanto riguarda la cappella di San Rocco si dice che essa venne edificata per iniziativa degli abitanti sopravvissuti a un’epidemia di peste come ringraziamento per lo scampato contagio e la fine del terribile morbo. Probabilmente si tratta dell’epidemia del 1576 o di quella del 1598, visto che esiste una menzione della cappella risalente al 1604, ma l’angelo avrebbe potuto essere aggiunto in un tempo successivo, magari dopo la più terribile delle epidemie, quella del 1630-32. In tal caso, dunque, l’affresco potrebbe anche essere più giovane di un secolo e risalire a metà ’600.

A questo punto mi sono domandato: e se tutta la storia fosse completamente diversa?

Osservando con maggiore attenzione la posizione inginocchiata, l’espressione serena e adorante del volto, la ricchezza degli abiti, le pareti della stanza del palazzo in cui appare, penso di essere riuscito a identificare quell’angelo che, al di là di ogni ragionevole dubbio, è l’Arcangelo Gabriele Annunziante.

La parte mancante dell’affresco doveva dunque contenere non già San Rocco sofferente, ma la figura della Beata Vergine Maria. Considerando la posizione della parte ancora visibile dell’avanbraccio destro, possiamo chiaramente immaginare che, rispettando la più classica iconografia cristiana del tempo di cui esiste un’ampissima casistica, il Messaggero Divino puntasse la mano benedicente verso di lei, mentre il suo pugno sinistro doveva racchiudere un giglio, simbolo di purezza e verginità (che tra l’altro compare anche stilizzato sulla sua veste).

 

 

Se dunque il dipinto raffigurava l’Annunciazione, questa era stata effettivamente affrescata sul retro della cappella di San Rocco in quella strana posizione o quel suo frammento aveva invece una diversa provenienza? E cosa poteva averne causato la distruzione?

Ovviamente è molto difficile rispondere alla prima domanda e forse non saremo mai in grado di conoscere la verità, ma è tuttavia curioso scoprire, che non molto lontano, verso Borgata Chiappero, sorgesse una cappella dedicata alla Madonna, molto importante per la comunità, visto che attorno ad essa si snodavano le processioni della prima domenica del mese per “ottenere il perdono”.  Oltre ad una sua breve menzione del 1604, non si è conservata alcuna memoria di quella chiesetta, ma non c’è dubbio che il dipinto di quell’Arcangelo sarebbe stato molto più appropriato sulla sua facciata o al suo interno. 

La storia ci può invece aiutare a rispondere alla seconda domanda. Nell'autunno del 1693 le truppe del generale Catinat depredarono, dettero alle fiamme e distrussero completamente la medievale chiesa parrocchiale valgioiese dedicata a San Giovanni Battista, di cui non rimase che il campanile.

È assai probabile, anche se non vi sono notizie in proposito, che anche la cappella di San Rocco, che distava solo un centinaio di metri dalla parrocchiale, e quella della Madonna abbiano subito la stessa sorte. Si può supporre che fu in quella occasione che la maggior parte della pittura venne cancellata.

Verosimilmente l’affresco dell’Annunciazione, anche se resta da capire perché venne posizionato in quel modo e spiegare la mancanza di ogni anche più piccola traccia del resto dell’opera, appartenne effettivamente alla cappella di San Rocco e venne vandalizzato dai francesi nel 1693.

Ma esiste anche la possibilità che il frammento non appartenesse a San Rocco ma facesse parte di un dipinto eseguito su un’altra chiesa devastata dall’esercito francese, forse la cappella mariana oppure la stessa parrocchiale, e che dunque l’Arcangelo fu “salvato e recuperato” una prima volta nel XVII secolo e murato sulla parete più visibile di San Rocco.

L’enigma dell’origine dell’angelo, anzi, dell’Arcangelo valgioiese deve ancora essere risolto e le indagini dovranno essere ampliate a 360 gradi nella speranza di poter reperire altri documenti.

In conclusione, non mi resta che consigliare vivamente agli amanti di storia, come me, di andare a fare una visita al Palazzo Marchini per osservare di persona questo bellissimo Arcangelo Gabriele. Ne vale certamente la pena, perché è un’immagine che ha un fascino davvero particolare e sembra comunicare con chi la sta osservando. 

Sarebbe vivamente auspicabile, nel frattempo, che il Comune di Giaveno provvedesse in tempi brevi a liberare da cavi e contatori lo spazio in cui è affisso l’affresco e magari anche ad apporre una piccola targa descrittiva.

Essendo un sognatore, mi piace infine immaginare che in futuro (magari nel centenario della sua rimozione) una copia dell’Arcangelo dimenticato possa essere sistemata a Valgioie su un pilone proprio nel luogo in cui sorgeva la cappella di San Rocco.

È così che la Storia dovrebbe rivivere.

Sarebbe un bel lascito per Valgioie, soprattutto per i giovani che hanno il diritto di conoscere e celebrare ciò che è appartenuto al loro paese.

Personalmente ritengo che nulla sia impossibile.

Basterebbe solo un po’ di buona volontà e che gli amministratori di oggi ritrovassero lo stesso spirito illuminato di coloro che li hanno preceduti e per ben cinque secoli si sono adoperati per permettere a quest’opera, alla quale evidentemente la comunità assegnava un grande valore, forse non solo religioso, di giungere fino a noi.  

Credo che dovrebbe essere un atto dovuto anzitutto nei loro confronti.

 

Note

1)     Tratto da L’angelo rubato, anzi salvato - ScuolaGuido.

2)  Alfredo Gerardi, “Valgioie 1295 - 1995 settecento anni di storia”, Edizioni Enterprise, 1995.


 

3)     Particolare dell’affresco tratto da Sacra di San Michele.

4)   Per questo giornale ho scritto un primo articolo su questo tema intitolato “L’angelo dimenticato di Valgioie”, apparso sul numero di luglio 2024, che potete trovare insieme a tante altre notizie sulla pagina Facebook: La Gazza Valgioiese | Facebook.


Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 7 settembre 2025

 

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