Robin Hood: folletto o stregone?

Roberto D'Amico

                                      

Sono molte le leggende e le storie che narrano le gesta di Robin Hood. Gli studiosi non sono, tuttavia, ancora riusciti a stabilire una volta per tutte il mistero che avvolge questo perso­naggio, scoprire, cioè, se egli sia veramente esi­stito o se, invece, si tratti molto più semplice­mente di un parto della fantasia popolare.

I cronisti medioevali ne parlano come di un perso­naggio storico vissuto tra l'XI e il XIII secolo (alcuni dicono tra il 1100 e il 1200, altri tra il 1150 e il 1250).

Robin viene per la prima volta citato nel 1377 nell'opera “Piers Plowman” di William Langland. Successivamente è presente nella “Chronicle of Scotland” di Wynton, opera del 1420, e in numerose ballate del tardo '400, quali le “Border Ballads” e la “Lytell Geste of Robin. Robin Hood non deve però certo la sua fama a questi scritti, bensì ad una serie di libri che ne hanno arric­chito, abbellito e talvolta sostanzialmente mo­dificato la figura.

   


 

Nei manoscritti più antichi compare come Robyn Hode (Fig 1 pagina del manoscritto del XVI secolo “A gest of Robyn Hode”, conservata alla National Library of Scotland). Occorre considerare che il nome Robert, da cui il derivato Robin, e Hood (e le sue varianti Hod, Hode che con ogni probabilità identificava un antico copricapo) erano molto comuni all'epoca. Ed è anche possibile e probabile che il sostantivo Hood possa essere stata una storpiatura di Wood, ovvero bosco, dato che i due sostantivi possiedono all'incirca la medesima pronuncia.

Le prime versioni stampate delle ballate su Robin Hood appaiono in Inghilterra nel primo XVI secolo, con l'avvento della stampa. In esse egli è un mercante, un contadino e, verso la fine dello stesso secolo, un nobiluomo: Earl di Huntington, Robert di Loksley o Robert Fitz Ooth. Sir Walter Scott lo presentò sotto le vesti di Locksley nel suo “Ivanhoe”.

Ma il Robin Hood della moderna leggenda deriva da opere quali “Robin Hood il proscritto” attribuita ad Alexandre Dumas padre (1872), il volume “Merry Adventures of Robin Hood” di Howard Pyle (1883), il componimento comico “Robin Hood” di Reginald De Koven/Harry B. Smith (1890), mentre Alfred Lord Tennyson fece di lui la figura principale del suo dramma “The Foresters” (1892).

Tutti questi scritti hanno tramandato la fi­gura di Robin Hood come quella di un generoso nobiluomo che si vede obbligato a cercare rifugio nella foresta di Sherwood, non lontano da Nottingham, a causa del malvagio re Gio­vanni che gli confisca le terre e lo bandisce per la sua lealtà a re Riccardo Cuor di Leone. In breve tempo altri giovani uomini, che al pa­ri di lui hanno subito torti ed ingiustizie, lo raggiungono nella foresta, e così egli diviene il capo di una banda di fuorilegge. Robin ruba ai ricchi e dona generosamente il ricavato del­le sue scorrerie ai poveri, per questo motivo è amato dal popolo che lo aiuta e lo protegge, e le ballate cantano del «coraggioso Robin e del­la sua allegra banda» e di come essi riuscirono sempre a farla in barba al loro acerrimo nemi­co, lo sceriffo di Nottingham.

Tuttavia, la stessa associazione tra Robin Hood e l’area della Foresta di Sherwood e la contea del Nottinghamshire è messa in discussione dalle cronache, che lo indicano come originario dello Yorkshire: nato a Loxley o a Wakefield e sepolto nel priorato di Kirkless.

Nulla può essere dato per scontato su questo intrigante personaggio la cui memoria è indele­bilmente impressa nel folclore anglosassone. Per questo motivo ha da sempre suscitato l'interesse di un gran numero di stu­diosi che hanno tentato di scoprire se si sia trattato o meno di un personaggio storico e da che cosa potesse essere nata la sua leggenda.

La città di Nottingham che nonostante i dubbi è, più di ogni altro il luogo, legata a Robin Hood, nel 1952 gli ha dedicato una bellissima statua lungo le mura all’esterno del castello.

 


Un’altra statua è, ovviamente, situata nella foresta di Sherwood, nel centro visitatori della piccola cittadina di Edwinstowe.

Il confronto tra queste due rappresentazioni è molto significativo. Così, come per molti altri personaggi, infatti, anche sull’origine del mito di Robin Hood sono state proposte bizzarre e curiose ipotesi e queste due interpretazioni artistiche sembrano proprio cogliere questo aspetto. Se quella di Sherwood lo rappresenta come un uomo adulto, robusto e barbuto, ben associabile alla figura del capo di una banda di fuorilegge, quella di Nottingham gli assegna invece l’aspetto di uno sbarbato giovinetto, quasi a voler avvallare l’ipotesi di chi ha paragonato le storie che lo riguardano a quelle dei folletti e degli spiriti dei boschi.

In ef­fetti, è curioso notare come il nome Robin sia comune a molti di questi racconti fantastici: Robin Goodfellow è secondo la tradizione in­glese il menestrello della corte di Oberon, il re dei folletti; vi è poi l'Hobgoblin, anche chia­mato Robgoblin o goblin Robin, un folletto del folclore francese amante dei cavalli e delle giovani e belle donne. Anche il suo abbigliamento è assai simile a quello dei fol­letti che venivano solitamente rappresentati con calzamaglia e ca­sacca verdi o marroni, stivaletti e il caratteristico cappello a punta adornato con una lunga penna; e così dicasi pure per il suo scanzonato e allegro carattere.

Il fatto che più sembra convalidare l'ipotesi Robin-folletto è, tuttavia, rappresentato dalla grande quercia all'inter­no della quale, secondo la tradizione, si sarebbe celato il nascondiglio della sua banda. Proprio nella quercia, infatti, ritroviamo un substrato comune di un certo tipo di credenze popolari assai diffuse in tutta l'Europa celtica. Il popolino, per dare una presenza tangibile al suo immaginario liberato­re ricorse, forse inconsciamente, ad uno dei metodi più antichi: lo associò, cioè, ad uno degli alberi della foresta di Sherwood.

In questo modo il personaggio acqui­stò lo stesso potere delle antiche divinità pagane che la gente ancora venerava, traendone la forza e il coraggio per indurre i meno remissivi a compiere le prime azioni di rivolta contro gli invasori.

Ma a quale albero in particolare venne associato Robin Hood?  La tradizione vuole che sia la più grande e vecchia quercia di tut­ta l'Inghilterra, con un’età stimata tra gli 800 e i 1000 anni, oggi nota come Major Oak, ma conosciuta in passato anche come Great Oak, Queen’s Oak, Cockpen Tree.

 


 

Altri studiosi, sin dal 1800, hanno visto in Robin Hood e nelle storie che lo riguardano molti elementi in grado di associarlo alla religione e ai culti precristiani.

Nella prima metà dello scorso secolo, la celebre antropologa Margaret A. Murray avanzò l'ipo­tesi che Robin Hood e i suoi dodici compagni non fossero altro che una vera e propria congrega di stre­goni.  Autrice di due libri di grande successo, “Witch-Cult in Western Europe” (II culto della stregoneria nell'Europa Occidentale, 1921) e “The God of the Witches” (II dio delle streghe, 1933), la Mur­ray era convinta che la stregoneria fosse un retaggio delle antiche reli­gioni pagane.

«Le prove dimostrano - ella scrisse - che nell'entroterra della religione cri­stiana vi era un culto praticato da molte classi della comunità, e in particolar modo da quelle più ignoranti, e da coloro che abitavano le re­gioni meno densamente popolate. Questo culto può essere rintracciato sino ai tempi precristia­ni ed era a quel che sembra l'antica religione dell'Europa Occidentale».

Riferendosi direttamente a Robin Hood, la Murray fece notare che il tre­dici è proprio il numero tradizionale dei membri di una congrega ed il verde, colore dell'abito del leggendario personaggio, è da sempre considerato in Inghilterra il colore della stregoneria. Inoltre, Robin era uno dei nomi con il quale, si dice, il Demonio si presentasse ai Grandi Sabba, le feste orgiastiche a cui par­tecipavano streghe, stregoni e altri personaggi diabo­lici.  Questi «festival» particolari si svolge­vano il 2 febbraio (Candelora), alla vigilia del primo maggio (Notte di Valpurga), il primo agosto (Lammas, l'antica festa del raccolto) e il 31 ottobre (vigilia d'Ognissanti). Tutte queste date indicherebbero l'effettiva sopravvivenza dei co­stumi pagani in quanto corrispondono esatta­mente alla suddivisione dell'anno in due parti in uso pres­so i Celti, marcate dal primo maggio, Beltane, e dal primo novembre, Samhain, a loro volta suddivise in due parti inizianti il primo febbraio e il primo agosto.

L’autrice fece anche notare che in Inghilterra, durante le celebrazio­ni medievali del primo maggio, un uomo vestito di verde e chiamato Robin Hood veniva proclamato re ed un altro, addobbato con un grosso maschero­ne, interpretava Hobby Horse, il suo celebre cavallo (fig.2). Secondo la Murray questa corrispon­denza fra la festa di Calendimaggio e il Sabba della Notte di Valpurga sarebbe stato un ulteriore elemento a favore del­la sua teoria.

Come curiosità vale la pena ricor­dare che, da quei tempi lontani, il nome Hobby della cavalcatura di Robin Hood passò ad indicare il cavallo a dondolo dei bambini e, in seguito, un gioco o una collezione preferiti, e con questo significato viene ancora oggi uni­versalmente adoperato.

Secondo la Murray il fatto che la Chiesa, che circa trecento anni dopo la presunta data di morte di Robin Hood proibì la festa del Calendimag­gio, odiasse Robin non solo per le sue ruberie ad abati e priori, ma proprio anche a causa delle feste demoniache che egli organizzava trascinando il popolo in divertimenti sfrenati e al di fuori della giusta morale.



 

Vent’anni dopo la Murray, Robert Graves ne riprese le teorie, ampliandole. Secondo questo autore, Robin non sarebbe stato il diminutivo di Robert, ma un appellativo derivato addirittura dal nome preteutonico robinet, che significa ariete. La rappresentazione di hobgoblin Robin Goodfellow come ariete-diavolo in diverse illustrazioni di almanacchi ne sarebbe stata un’antica eco (fig.3). Anche questo personaggio, che rimandava in qualche modo anche il dio celtico Cernunnos, non faceva che confermare la teoria di un sopravvissuto culto pagano, poi demonizzato dalla Chiesa.

Graves, inoltre, accostò il nostro personaggio non solo alla festa di Calendimaggio, ma anche a quella del rituale gaelico del solstizio di Yule, l'uccisione del Re dell'anno vecchio, nel quale Hood o Hud, che in gaelico significa “ceppo”, giocava un ruolo centrale. Secondo questa interpretazione Robin avrebbe rappresentato il dio dell'anno nuovo che lotta e vince contro il Vecchio Inverno. Nelle antiche pantomime, nelle quali i vari personaggi venivano rappresentati da attori improvvisati, Robin inseguiva il Re Vecchio e lo impiccava ad una quercia, la stessa da cui si tagliava poi il tronco che veniva poi bruciato per simboleggiare la rinascita del sole. Un monaco rinnegato, di nome Frate Tuck, ne celebrava quindi le nozze con Merry Mad Marian (l’allegra pazza Marian) figura ricollegabile, secondo Graves, addirittura alla Grande Dea Madre.

Per quanto bizzarro possa sembrare, è assai probabile che le ipotesi che vogliono un Robin-folletto o un Robin-stregone possano avere un certo fondamento.

Il composito personaggio di Robin Hood potrebbe davvero anche racchiudere il retaggio di quei culti pagani le cui origi­ni si perdono nella notte dei tempi, ma che sono spesso riusciti a sopravvivere alla cancellazione fattane dal cristianesimo. Solo così si potrebbero, infatti, spiegare in modo soddisfacente la diffusione popolare del suo mito, passato poi a tradizione, e l'accanimento che la Chiesa ebbe nel cercare di debellarlo.

Forse fu proprio a causa della particolare devozione che la gente gli mostrava che questo eroe fantastico finì poi col personificare agli occhi del popolo la resistenza dei Sassoni alla conquista normanna e la ri­volta dei deboli contro gli abusi dei ricchi e dei potenti. Le ballate ne tramandarono così le favolose imprese a favore degli oppressi e a terrore dei malvagi.

Quello che è certo è che non esiste personaggio più controverso, la cui origine si perde in un inestricabile miscuglio di storia e leggenda, probabilmente frutto della fusione di un qualche personaggio realmente esistito, forse un bandito o forse nobile sassone decaduto, con preesistenti miti legati alle foreste e al misterioso “piccolo popolo” ad esse da sempre associato.

     

Nota: articolo pubblicato su Civico20News la Rivista Online di Torino il 6 novembre 2025

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