Cinquant’anni dopo, sulle tracce dei pilastrini del 1706
Roberto D’Amico
In pietra grezza, di forma
stretta e allungata, alti circa un metro, questi piloncini ex-voto erano di
fattura molto semplice, ma ebbero un grande impatto emotivo sulla popolazione. Nella
loro parte sommitale, sovrastante la data 1706, recavano scolpita una piccola immagine
a mezzo busto della Madonna della Consolata con in braccio il Bambin Gesù. In
tal modo il duca la volle ringraziare per la salvezza della città e la dichiarò
Protettrice di Torino.
Di questi pilastrini avevo
scoperto l’esistenza in modo del tutto casuale, vedendo l’esemplare situato nel
giardinetto antistante il Santuario della Consolata, dove mi ero recato per
tutt’altre ricerche. Non ne avevo mai sentito parlare. Ne rimasi affascinato.
Iniziai così a studiarne la storia e venni preso dalla voglia di scoprire gli
altri pilastrini ancora disseminati per la città.
Cinquant’anni fa l’unico riferimento possibile per avere informazioni a riguardo era la Biblioteca Nazionale. Inoltre, si poteva cercare di individuarli studiando con attenzione le ingombranti e costose, ma dettagliatissime, mappe in scala 1: 25.000 dell’Istituto Geografico Militare. Per la maggior parte di quelle piccole pietre la collocazione esatta era difficile da trovare ed era inutile chiedere informazioni alla gente, perché nessuno ne conosceva l’esistenza.
Oggi, fortunatamente, cercando sul Web, su quei pilastrini si possono trovare con facilità tutte le informazioni e i riferimenti disponibili. Nel bellissimo sito di “MuseoTorino”, ad esempio, si possono vedere le fotografie di tutti gli esemplari sopravvissuti con accanto la loro localizzazione.
Nel 2006, in occasione del
trecentesimo anniversario della vittoria, quei mini-monumenti godettero di un
momento di vera gloria. In loro onore vennero organizzati eventi e celebrazioni,
che tra l’altro entrarono a far parte delle varie iniziative lanciate per dare
risalto all’immagine di Torino in occasione delle Olimpiadi che la città ospitò
proprio quell’anno.
Dei ventidue pilastrini
sopravvissuti, tutti ricollocati a partire dall’800 in sedi diverse da quelle
originarie a seguito della progressiva urbanizzazione, due sono collocati all’interno
del Museo Civico Pietro Micca e del Museo Nazionale del Risorgimento, uno è tuttora
davanti al Santuario della Consolata e otto in proprietà private. Undici sono
quelli che si trovano ancora nelle aree della vecchia linea del fronte che
aveva visto il cruento scontro finale tra Piemontesi e Francesi con i loro
rispettivi alleati. Ho deciso di andare a verificare le loro condizioni dopo
cinque decenni.
Mentre segnavo sulla mappa i luoghi dove si trovavano i pilastrini che sarebbero stati l’oggetto della ricerca, ai miei occhi si è palesata in modo chiaro e netto l’immaginaria linea dei combattimenti che da Est a Ovest attraversava gli odierni quartieri di Lucento, Madonna di Campagna, Borgo Vittoria e Regio Parco nella parte nord della città, nel territorio compreso tra la Dora e la Stura.
Dopo un dovuto, emozionante
saluto al primo pilastrino che avevo visto in vita mia alla Consolata, sempre
ottimamente conservato, ho ripercorso il “giro esplorativo” partendo da dove lo
avevo incominciato da ragazzo.
Prima tappa, la Chiesa dei SS.
Bernardo e Brigida, in via Pianezza, che con il Castello di Lucento fu diretta testimone
dell’ultima battaglia del 7 settembre. Posizionato nell’antistante rotonda
stradale, mi ha accolto un monumento formato da un grande “1706”, che ho
scoperto in seguito essere stato realizzato dallo scultore Luigi Nervo in
occasione delle celebrazioni del tricentenario. Un buon inizio!
Il primo pilastrino che cercavo è inserito nel Monumento ai Caduti posto a lato della chiesa su un piedestallo con una grande lastra in bronzo che reca la scritta:
LA CONSOLATA NELLA STORIA DI TORINO DALLA VERGINE SANTA
RICONOSCENDO LA VITTORIA PIEMONTESE
AVVENUTA
NEL 1706 SULL’ESERCITO FRANCESE
IN QUESTE CONTRADE
VITTORIO AMEDEO II COSTELLAVA
LA LINEA DI
COMBATTIMENTO DA LUSENT
“LUCENTO” AL PALCO VECCHIO
“REGIO PARCO” DI PILASTRINI
RIPORTANTI L’EFFIGE
DELLA CELESTE PROTETTRICE.
A poche decine di metri di
distanza, in Via Foglizzo 4, lungo il marciapiede all’interno di un piccolo
recinto, si trova un altro pilastrino, molto ben curato. Mancando una targa con
indicazioni storiche, il passante tende però a non farci caso e a considerarlo come
una delle tante edicole religiose.
Imboccando via Verolengo e percorrendola
sino a quando si trasforma in viale, all’incrocio con via Assisi, murato
all’interno di un piccolo pilone votivo, un pilastrino è ormai completamente
invisibile. Già negli anni ’70 era
difficile vederlo, sistemato com’era dietro ad una spessa grata semi nascosto
da lumini e oggetti di devozione vari, ma allora l’immagine della Madonna era
ancora visibile. Ora, invece, un’effige in ceramica bianca è stata sovrapposta
all’originale, celandola completamente allo sguardo. Unica cosa ancora
riconoscibile è la scritta 1706 alla base della nuova scultura.
È pur vero che la sua
progressiva e definitiva trasformazione in un luogo di devozione popolare di
Lucento ha conservato il ricordo della Madonna della Consolata, ma direi che,
come reperto, possa essere ormai cancellato dall’elenco dei cippi celebrativi
del 1706. In ogni caso, una piccola targa accanto all’edicola potrebbe per lo
meno ricordare la storia che si cela al suo interno.
I sei esemplari custoditi nella
Chiesa di Nostra Signora della Salute sono ovviamente ben conservati. Quello all’interno
della grande lapide celebrativa in marmo, inserita nel 1937 sulla parete del
transetto in occasione dei 50 anni dalla fondazione della chiesa, è facilmente
visibile.
La Cripta dei Caduti ospita
altri quattro pilastrini che sono stati utilizzati come sostegno della teca in
vetro che contiene parte dell’enorme quantità di ossa dei caduti ritrovate nei
terreni sui quali venne edificata la chiesa, dove si svolsero gli scontri più
violenti della guerra. Il luogo è estremamente suggestivo, purtroppo però, difficilmente
accessibile essendo la cripta normalmente chiusa. Chiedendo nell’ufficio
parrocchiale in orario di ufficio si viene normalmente accompagnati con molta
gentilezza.
Nella cripta è anche possibile
ammirare “Il quadro della vittoria”, un complesso e stupefacente insieme di ventuno
pannelli che il pittore Luigi Togliatto Amateis ha donato alla chiesa nel 2006,
in occasione del terzo centenario. Uno dei quadri raffigura proprio il momento
in cui viene posato uno dei pilastrini commemorativi. Molto, molto bello!
Più lontano dagli altri, al
lato estremo della linea di battaglia, nel quartiere di Regio Parco, a poca
distanza dallo scomparso Castello di Viboccone, il pilastrino di via Pergolesi
119 è all’interno del giardino delle Scuole Tecniche San Carlo. Non è quindi facilmente
usufruibile dal pubblico. Inoltre, non è segnalato e risulta invisibile
dall’esterno essendo al di là di una folta siepe. Arrivando negli orari giusti
si può comunque provare a chiedere di andare a fargli una fotografia.
Un po’ più a nord, in Madonna
di Campagna, in Via Lanzo 5/b, non sulla vecchia linea del fronte ma sempre in
zona di battaglia, si trova l’ultimo pilastrino “pubblico”. Sono rimasto
letteralmente senza parole nel vederlo inserito appeso a mezz’aria nel muro di
quel palazzo, tra le due vetrine di un ristorante, completamente ricoperto
dalla pittura con cui è stata dipinta la parete. Orribile!
Credo ci vorrebbe davvero poco
per ripulirlo e far riaffiorare la pietra riportandolo alla sua condizione naturale
e magari aggiungere anche in questo caso una piccola targa commemorativa.
La mia breve escursione
cittadina si è conclusa con grande soddisfazione. Quelle piccole, ma importanti
pietre celebrative sono ancora custodite bene e con il dovuto rispetto per
quello che hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi.
Coglierei l’occasione per
sollecitare l’Amministrazione Comunale affinché renda fruibili da parte della
comunità anche i numerosi reperti conservati in luoghi privati e di segnalare
la presenza dei pilastrini con targhe o pannelli che ne descrivano la storia.
Un commento finale del tutto
personale. Attraversando i quartieri, alcuni dei quali rimessi completamente a
nuovo negli ultimi decenni, mi è stato difficile riconoscere i luoghi che mi
avevano visto prima nascere e, poi, novello ricercatore. Sono nato, infatti, alla fine degli anni ’40, proprio
in Madonna di Campagna, in una delle poche case di una corta strada sterrata che
terminava trasformandosi in un piccolo sentiero che attraversava i binari della
ferrovia Torino-Milano, in aperta campagna. Oggi lì c’è la Stazione
Rebaudengo-Fossata.
Ancora negli anni ’60/’70 buona
parte di quelle zone di periferia erano poco costruite e povere. Ora, la città è totalmente cambiata, a tratti irriconoscibile
per noi anziani. La viabilità è stata notevolmente
migliorata con l’interramento della linea ferroviaria, sottopassi, rotonde,
ampliamento di strade, corsi, viali e nuovi edifici sono stati costruiti
secondo modelli moderni e ampi spazi sono divenuti aree verdi pubbliche ben
curate.
Ancor più difficile, se non
impossibile, è cercare di ricostruire mentalmente il paesaggio del 1706, ma in
questa specie di pellegrinaggio nel tempo e nello spazio ho più volte provato
una forte emozione, come se i protagonisti fossero ancora lì, intorno a me.
Durante i tre mesi di assedio,
e soprattutto negli ultimi giorni tra fine agosto e il 7 settembre 1706, i piemontesi
morti o feriti furono 3000, più di 900 i loro alleati austriaci, oltre 14000 i
franco-spagnoli! Ogni tanto, estraniandomi dai rumori del traffico, con gli
occhi chiusi o guardando i poveri resti nella teca della cripta della Chiesa
della Salute, mi è sembrato di sentire le incitazioni dei comandanti e le grida
di guerra di quegli uomini, nelle loro varie lingue, tra colpi di moschetto e
di cannone, il nitrire dei cavalli alla carica e le urla dei feriti e dei
morenti.
Quanto coraggio, quanto dolore,
quanta sofferenza ci sono voluti per permettere a noi torinesi di diventare
quello che siamo oggi.
Le generazioni future non
devono dimenticarlo.
È questo il motivo che mi ha
spinto a scrivere questo breve articolo, sperando di essere riuscito a
stuzzicare la curiosità di qualcuno più giovane di me e condurlo alla scoperta
di questo importante pezzo di storia della nostra città, affinché a sua volta
possa continuare l’opera di trasmissione. E chissà, magari nel 2106 i nostri
pronipoti riusciranno ancora a festeggiare il quattrocentesimo anniversario…
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