Cinquant’anni dopo, sulle tracce dei pilastrini del 1706 

                                  Roberto D’Amico


Ho recentemente ritrovato in una cartellina contenente miei vecchi appunti alcune fotografie in bianco e nero dei primi anni ’70 di alcuni dei pilastrini commemorativi della vittoria sui francesi del 1706.        

Per ordine di Vittorio Amedeo II, a partire dall’aprile del 1708, di quei pilastrini ne vennero prodotti e collocati oltre duecento “in linea in  quella distanza l’una dall’altra che sarà stimata conveniente cominciando da Lusent sin al Palco Vechio, nell’istesso sitto ove l’armata francese aveva formata la sua linea per l’Assedio.”  

In pietra grezza, di forma stretta e allungata, alti circa un metro, questi piloncini ex-voto erano di fattura molto semplice, ma ebbero un grande impatto emotivo sulla popolazione. Nella loro parte sommitale, sovrastante la data 1706, recavano scolpita una piccola immagine a mezzo busto della Madonna della Consolata con in braccio il Bambin Gesù. In tal modo il duca la volle ringraziare per la salvezza della città e la dichiarò Protettrice di Torino.

Di questi pilastrini avevo scoperto l’esistenza in modo del tutto casuale, vedendo l’esemplare situato nel giardinetto antistante il Santuario della Consolata, dove mi ero recato per tutt’altre ricerche. Non ne avevo mai sentito parlare. Ne rimasi affascinato. Iniziai così a studiarne la storia e venni preso dalla voglia di scoprire gli altri pilastrini ancora disseminati per la città.

Cinquant’anni fa l’unico riferimento possibile per avere informazioni a riguardo era la Biblioteca Nazionale. Inoltre, si poteva cercare di individuarli studiando con attenzione le ingombranti e costose, ma dettagliatissime, mappe in scala 1: 25.000 dell’Istituto Geografico Militare. Per la maggior parte di quelle piccole pietre la collocazione esatta era difficile da trovare ed era inutile chiedere informazioni alla gente, perché nessuno ne conosceva l’esistenza.

Oggi, fortunatamente, cercando sul Web, su quei pilastrini si possono trovare con facilità tutte le informazioni e i riferimenti disponibili. Nel bellissimo sito di “MuseoTorino”, ad esempio, si possono vedere le fotografie di tutti gli esemplari sopravvissuti con accanto la loro localizzazione.

Nel 2006, in occasione del trecentesimo anniversario della vittoria, quei mini-monumenti godettero di un momento di vera gloria. In loro onore vennero organizzati eventi e celebrazioni, che tra l’altro entrarono a far parte delle varie iniziative lanciate per dare risalto all’immagine di Torino in occasione delle Olimpiadi che la città ospitò proprio quell’anno.

Dei ventidue pilastrini sopravvissuti, tutti ricollocati a partire dall’800 in sedi diverse da quelle originarie a seguito della progressiva urbanizzazione, due sono collocati all’interno del Museo Civico Pietro Micca e del Museo Nazionale del Risorgimento, uno è tuttora davanti al Santuario della Consolata e otto in proprietà private. Undici sono quelli che si trovano ancora nelle aree della vecchia linea del fronte che aveva visto il cruento scontro finale tra Piemontesi e Francesi con i loro rispettivi alleati. Ho deciso di andare a verificare le loro condizioni dopo cinque decenni.

Mentre segnavo sulla mappa i luoghi dove si trovavano i pilastrini che sarebbero stati l’oggetto della ricerca, ai miei occhi si è palesata in modo chiaro e netto l’immaginaria linea dei combattimenti che da Est a Ovest attraversava gli odierni quartieri di Lucento, Madonna di Campagna, Borgo Vittoria e Regio Parco nella parte nord della città, nel territorio compreso tra la Dora e la Stura.

Dopo un dovuto, emozionante saluto al primo pilastrino che avevo visto in vita mia alla Consolata, sempre ottimamente conservato, ho ripercorso il “giro esplorativo” partendo da dove lo avevo incominciato da ragazzo.

Prima tappa, la Chiesa dei SS. Bernardo e Brigida, in via Pianezza, che con il Castello di Lucento fu diretta testimone dell’ultima battaglia del 7 settembre. Posizionato nell’antistante rotonda stradale, mi ha accolto un monumento formato da un grande “1706”, che ho scoperto in seguito essere stato realizzato dallo scultore Luigi Nervo in occasione delle celebrazioni del tricentenario. Un buon inizio!

Il primo pilastrino che cercavo è inserito nel Monumento ai Caduti posto a lato della chiesa su un piedestallo con una grande lastra in bronzo che reca la scritta:

          LA CONSOLATA NELLA STORIA DI TORINO DALLA VERGINE SANTA

RICONOSCENDO LA VITTORIA PIEMONTESE AVVENUTA

NEL 1706 SULL’ESERCITO FRANCESE IN QUESTE CONTRADE

VITTORIO AMEDEO II COSTELLAVA LA LINEA DI

COMBATTIMENTO DA LUSENT “LUCENTO” AL PALCO VECCHIO

“REGIO PARCO” DI PILASTRINI RIPORTANTI L’EFFIGE

DELLA CELESTE PROTETTRICE.


A poche decine di metri di distanza, in Via Foglizzo 4, lungo il marciapiede all’interno di un piccolo recinto, si trova un altro pilastrino, molto ben curato. Mancando una targa con indicazioni storiche, il passante tende però a non farci caso e a considerarlo come una delle tante edicole religiose.

Imboccando via Verolengo e percorrendola sino a quando si trasforma in viale, all’incrocio con via Assisi, murato all’interno di un piccolo pilone votivo, un pilastrino è ormai completamente invisibile.  Già negli anni ’70 era difficile vederlo, sistemato com’era dietro ad una spessa grata semi nascosto da lumini e oggetti di devozione vari, ma allora l’immagine della Madonna era ancora visibile. Ora, invece, un’effige in ceramica bianca è stata sovrapposta all’originale, celandola completamente allo sguardo. Unica cosa ancora riconoscibile è la scritta 1706 alla base della nuova scultura.

È pur vero che la sua progressiva e definitiva trasformazione in un luogo di devozione popolare di Lucento ha conservato il ricordo della Madonna della Consolata, ma direi che, come reperto, possa essere ormai cancellato dall’elenco dei cippi celebrativi del 1706. In ogni caso, una piccola targa accanto all’edicola potrebbe per lo meno ricordare la storia che si cela al suo interno.


I sei esemplari custoditi nella Chiesa di Nostra Signora della Salute sono ovviamente ben conservati. Quello all’interno della grande lapide celebrativa in marmo, inserita nel 1937 sulla parete del transetto in occasione dei 50 anni dalla fondazione della chiesa, è facilmente visibile.

La Cripta dei Caduti ospita altri quattro pilastrini che sono stati utilizzati come sostegno della teca in vetro che contiene parte dell’enorme quantità di ossa dei caduti ritrovate nei terreni sui quali venne edificata la chiesa, dove si svolsero gli scontri più violenti della guerra. Il luogo è estremamente suggestivo, purtroppo però, difficilmente accessibile essendo la cripta normalmente chiusa. Chiedendo nell’ufficio parrocchiale in orario di ufficio si viene normalmente accompagnati con molta gentilezza.

Nella cripta è anche possibile ammirare “Il quadro della vittoria”, un complesso e stupefacente insieme di ventuno pannelli che il pittore Luigi Togliatto Amateis ha donato alla chiesa nel 2006, in occasione del terzo centenario. Uno dei quadri raffigura proprio il momento in cui viene posato uno dei pilastrini commemorativi. Molto, molto bello!

Più lontano dagli altri, al lato estremo della linea di battaglia, nel quartiere di Regio Parco, a poca distanza dallo scomparso Castello di Viboccone, il pilastrino di via Pergolesi 119 è all’interno del giardino delle Scuole Tecniche San Carlo. Non è quindi facilmente usufruibile dal pubblico. Inoltre, non è segnalato e risulta invisibile dall’esterno essendo al di là di una folta siepe. Arrivando negli orari giusti si può comunque provare a chiedere di andare a fargli una fotografia.

Un po’ più a nord, in Madonna di Campagna, in Via Lanzo 5/b, non sulla vecchia linea del fronte ma sempre in zona di battaglia, si trova l’ultimo pilastrino “pubblico”. Sono rimasto letteralmente senza parole nel vederlo inserito appeso a mezz’aria nel muro di quel palazzo, tra le due vetrine di un ristorante, completamente ricoperto dalla pittura con cui è stata dipinta la parete. Orribile!

Credo ci vorrebbe davvero poco per ripulirlo e far riaffiorare la pietra riportandolo alla sua condizione naturale e magari aggiungere anche in questo caso una piccola targa commemorativa.


La mia breve escursione cittadina si è conclusa con grande soddisfazione. Quelle piccole, ma importanti pietre celebrative sono ancora custodite bene e con il dovuto rispetto per quello che hanno rappresentato e rappresentano ancora oggi.

Coglierei l’occasione per sollecitare l’Amministrazione Comunale affinché renda fruibili da parte della comunità anche i numerosi reperti conservati in luoghi privati e di segnalare la presenza dei pilastrini con targhe o pannelli che ne descrivano la storia.

Un commento finale del tutto personale. Attraversando i quartieri, alcuni dei quali rimessi completamente a nuovo negli ultimi decenni, mi è stato difficile riconoscere i luoghi che mi avevano visto prima nascere e, poi, novello ricercatore.  Sono nato, infatti, alla fine degli anni ’40, proprio in Madonna di Campagna, in una delle poche case di una corta strada sterrata che terminava trasformandosi in un piccolo sentiero che attraversava i binari della ferrovia Torino-Milano, in aperta campagna. Oggi lì c’è la Stazione Rebaudengo-Fossata.

Ancora negli anni ’60/’70 buona parte di quelle zone di periferia erano poco costruite e povere.  Ora, la città è totalmente cambiata, a tratti irriconoscibile per noi anziani.  La viabilità è stata notevolmente migliorata con l’interramento della linea ferroviaria, sottopassi, rotonde, ampliamento di strade, corsi, viali e nuovi edifici sono stati costruiti secondo modelli moderni e ampi spazi sono divenuti aree verdi pubbliche ben curate.

Ancor più difficile, se non impossibile, è cercare di ricostruire mentalmente il paesaggio del 1706, ma in questa specie di pellegrinaggio nel tempo e nello spazio ho più volte provato una forte emozione, come se i protagonisti fossero ancora lì, intorno a me.

Durante i tre mesi di assedio, e soprattutto negli ultimi giorni tra fine agosto e il 7 settembre 1706, i piemontesi morti o feriti furono 3000, più di 900 i loro alleati austriaci, oltre 14000 i franco-spagnoli! Ogni tanto, estraniandomi dai rumori del traffico, con gli occhi chiusi o guardando i poveri resti nella teca della cripta della Chiesa della Salute, mi è sembrato di sentire le incitazioni dei comandanti e le grida di guerra di quegli uomini, nelle loro varie lingue, tra colpi di moschetto e di cannone, il nitrire dei cavalli alla carica e le urla dei feriti e dei morenti.

Quanto coraggio, quanto dolore, quanta sofferenza ci sono voluti per permettere a noi torinesi di diventare quello che siamo oggi.

Le generazioni future non devono dimenticarlo.

È questo il motivo che mi ha spinto a scrivere questo breve articolo, sperando di essere riuscito a stuzzicare la curiosità di qualcuno più giovane di me e condurlo alla scoperta di questo importante pezzo di storia della nostra città, affinché a sua volta possa continuare l’opera di trasmissione. E chissà, magari nel 2106 i nostri pronipoti riusciranno ancora a festeggiare il quattrocentesimo anniversario…


Nota: articolo pubblicato su Civico20 la Rivista Online di Torino in due puntate il 20 e 21 agosto 2024


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