Il segreto della “quarta età” dei filosofi dell’antica Grecia
Roberto D’Amico
Tutti coloro che hanno studiato i filosofi greci si sono domandati come
abbiano fatto quelle menti straordinarie a sezionare ogni angolo delle reazioni
e interrelazioni umane, a immaginare la materia e l’universo come mai prima di
loro nessuno aveva fatto e a scrivere così tanti trattati durante la loro
esistenza.
Cosa li spingeva ad elevare in quel modo sublime il loro pensiero e a
gettarsi nelle loro profonde elucubrazioni? Cosa avevano questi uomini di
diverso da tutti gli altri uomini?
Certo, erano esseri intelligenti, eruditi e curiosi, ma è stato solo
questo o esiste forse un fattore comune che ha permesso loro di poter
raggiungere così tanti obbiettivi?
In effetti, un qualche cosa in comune ce l’avevano. Se ne parla poco, ma
è un dato di fatto che tutti arrivarono ad un’età estremamente avanzata.
Solone
638/558 a.C. 94 anni Talete
640-625/548-545
a.C. 78 o 90 anni Anassimandro
610/546 a.C. 64 anni Anassimene
586/528 a.C. 58 anni Pitagora
580/500 a.C. 80 anni Senofane 570/475
a.C. 95
anni Eraclito 540/480 a.C. 60 anni Parmenide 515/445
75 anni Anassagora 499/428 a. C. 71 anni Empedocle 494/434 a.C. 60 anni (ma alcuni autori
affermano che visse fino a 109 anni) Zenone di Elea 490/430 a.C. 60 anni Melisso 490/430 a.C.
60 anni Socrate 469/399
a. C. 70 anni Democrito 460/370 a. C. 90
anni (ma alcuni parano di 109 anni). Leucippo 460/370 a.C.
90 anni Antistene 444/365
a.C. 79 anni Platone 427/347 a.C. 80 anni Diogene
413/324
a.C. 89 anni Aristotele 384/322 a.C. 62 anni Pirrone 365/275 a.C. 90 anni,
Cratete
365/285
a.C. 75 anni Metrocle 350/280 a.C. 70 anni Zenone
di Cizio 361/263 98 anni Crisippo 281/208 a.C. 89 anni |
Se, come si stima, la vita media nell’antica Grecia era di trent’anni e
a cinquant’anni si veniva considerati vecchi, risulta perlomeno curioso che la maggior
parte dei filosofi vivessero così a lungo.
Per la gente comune era molto difficile diventare anziani. La popolazione,
in gran parte formata da contadini, pastori o pescatori, conduceva una vita molto
dura ed era assai comune morire per morte accidentale o per malattia.
Al contrario, pur dando per scontato anche un buon DNA, la maggior parte
dei filosofi proveniva da famiglie agiate. Quindi vivevano in grandi case, erano
ben nutriti, non svolgevano lavori usuranti, conducevano normalmente una vita
tranquilla, se non si mettevano nei guai per le loro idee di liberi pensatori.
Inoltre, in caso di malattia potevano godere delle migliori cure mediche del
tempo e molti di loro in vecchiaia avevano chi li accudiva, spesso i loro
stessi discepoli.
Qualcuno ha anche ipotizzato
che il lavoro sublime della mente o, in qualche caso, il seguire diete
particolari o l’appartenenza a sette iniziatiche misteriche possano averli in
qualche modo favoriti. Ovviamente siamo nel campo delle congetture.
La domanda fondamentale rimane: quale potrebbe essere stato il fattore
comune che in qualche modo potrebbe aver influito sulla loro longevità?
Certamente anche la considerazione verso gli anziani, ad esempio, che
gli antichi greci avevano ereditato dalle culture delle popolazioni
indo-europee e mediterranee dalla mescolanza delle quali erano nati potrebbe
aver giocato un ruolo positivo.
In tutte le civiltà orientali, a partire da quelle
indo-mesopotamiche, era infatti comune credenza che le persone che riuscivano a
diventare molto vecchie dovessero essere state protette e benedette dagli dèi.
Verso di loro si provava quindi un senso di rispetto reverenziale e la comunità
cercava di mantenerle in vita il più possibile, anche con pratiche magiche e
interventi medicamentosi speciali, perché erano considerate un valore importante
da preservare. Gli anziani importanti erano soprattutto sciamani e sovrani re-sacerdoti
che, grazie a questa attenzione da parte delle loro comunità, riuscivano spesso
a raggiungere età molto avanzate essendo considerati depositari del sapere,
della medicina ma, soprattutto, l’indispensabile tramite con il mondo degli
spiriti.
Un po’ di tutto ciò si trasferì nel mondo greco arcaico. Nell'Iliade
leggiamo che erano gli dèi che concedevano il dono di una buona vecchiaia e che
la degenerazione del corpo veniva compensata da esperienza, saggezza ed
eloquenza. La figura del vecchio saggio rappresentava qualcosa di eccezionale, più
vicino al mondo dell'al di là che a quello dei vivi.
Quando nella storia arrivarono i Filosofi, quella nuova strana
specie di vecchi saggi, dotti, spesso molto stravaganti ed ammaliatori, non
facciamo fatica a pensare che il popolo li guardasse con un misto di reverenza
e timore, associandoli idealmente al concetto che degli anziani si aveva in qui
tempi.
Questo
sembra anche essere dimostrato dal modo in cui essi vennero raffigurati fisicamente,
basandosi non sulle loro fattezze reali che nessuno più conosceva, ma seguendo
uno schema simbolico comune che tendeva a magnificare le loro qualità. Per
esprimere l'ideale di una vita saggia, li vediamo quindi rappresentati con
fronti ampie, folte barbe e occhi penetranti o seri.
Non vi è dubbio che fu la loro lunga esistenza a
permettere a quegli uomini straordinari di veder crescere 3/4 generazioni, di studiare,
viaggiare, aprire scuole e iniziare discepoli, osservare eventi umani e
naturali. Per questo motivo, grazie alle loro conoscenze, erano ascoltati,
rispettati e onorati, divenendo in molti casi vere e proprie leggende viventi.
Essi ebbero la possibilità di acquisire un’esperienza delle cose umane, della natura e della politica che pochi si potevano permettere. È facile pensare che molti altri studiosi e uomini di pensiero meno fortunati non riuscirono a raggiungere la loro notorietà solamente per il fatto di essere morti in età più normale per quei tempi.
Luca
Mauceri, appassionato e acuto studioso di filosofia antica e contemporanea, nel
suo articolo “La ricetta antica per vivere cento anni: l’esempio della Grecia classica” (sito “La chiave di Sophia”, 28 gennaio 2019),
ipotizza che la lunga vita degli antichi filosofi greci fosse dovuta a“l’esercizio del pensiero in senso opposto
all’odierno stare chini sui libri... Non era infatti nulla di solamente
cerebrale a muovere quelle menti. Essi erano capaci di vivere la totalità degli
impulsi e degli stimoli dettati dalla natura: non leggere soli dentro una casa,
ma insieme sulle rive di un ruscello, o passeggiando al sole fuori dalla città;
non calcolare davanti a schermi o fogli di carta, ma osservare in prima persona
gli eventi naturali e congetturare sulla riproduzione degli animali o sulla
formazione della grandine; non soffocare la vita sotto principi moralistici, ma
essere la vita stessa, il suo moto, la comunità che la porta avanti. Ed ecco
dunque che ricercare non significava solamente leggere o esercitarsi, ma
affinare lo sguardo, acuire i sensi, imparare a discutere, mantenersi in forma,
sviluppare un gusto, dialogare, assecondare le voglie, partecipare, provare in
prima persona, mettersi in gioco, imparare a sopportare dolori fisici e
psicologici e molto altro. La saggezza diveniva forma di vita integrale e la
cura per la mente non era diversa dalla cura per il corpo…”
Queste
considerazioni, dove ricerca e capacità di percepire immersivamente il mondo si
congiungono in ogni frase, mi hanno colpito e convinto. Sì, forse proprio come
dice Mauceri, lo studio della Natura sperimentato sul campo, immergendosi in
essa, e un’abitudine di vita naturale e salutare per la mente e per il corpo potrebbero
davvero essere stati i fattori determinanti che hanno consentito agli antichi
filosofi di raggiungere la loro incredibile quarta età.
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