Roberto D’Amico
Il culto per la quercia, albero sacro per eccellenza presso i Celti, e
del vischio, l'umile pianticella che su di essa cresce, ebbero un posto molto importante
nella religlone druidica. Lo stesso nome
di quegli antichi sacerdoti sarebbe secondo alcuni derivato da quello di questo
albero che in celtico era dervos, dervon, dero o derw,
altri lo interpretano invece come l'unione delle tre parole derw-wydd-dyn,
quercia-vlschio-uomo.
Il vischio è un arbusto semiparassita di forma cespugliosa con rami sempreverdi, fiori
riuniti in fascette e bacche globose che cresce in posizione
soleggiata su moti alberi, pioppi, tigli, olmi, noci, meli e peri.
Il vischio quercino è il più raro ed è quello che raccoglievano i druidi.
La raccolta avveniva durante il Solstizio d’Inverno, periodo considerato il più
efficace per preservare le qualità magiche della pianta.
Il sacro rituale druidico della raccolta del
vischio ci è stato accuratamente tramandato da Plinio il Vecchio che nella sua Naturalis historia (XVI, 45) scrive: “È necessario non dimenticare l'ammirazione
dei Galli per il v ischio. I druidi
- è il nome che danno ai loro maghi - non hanno nulla di più sacro del vischio
e dell'albero che lo porta, purché sia un rovere.
Il
rovere é già di per se stesso l'albero che scelgono per i boschi sacri e non
compiono nessuna cerimonia religiosa senza il suo fogliame ... Considerano
tutto ciò che spunta su questi alberi come inviato dal cielo e vi vedono un
segno dell'elezione di tale albero da parte della divinità stessa. Si trova
molto raramente del vischio di rovere e quando lo si scopre, lo si coglie con
gran pompa religiosa. Questo deve avvenire soprattutto al sesto giorno di luna,
che presso di loro segna l'inizio dei mesi, degli anni e dei secoli, che durano
trent'anni, giorno scelto perché la luna ha già tutta la sua forza senza essere
a metà percorso. Essi lo chiamano nella loro lingua "colui che tutto
guarisce".
Preparano
secondo i riti ai piedi dell'albero un sacrificio e un festino religioso e
conducono due torelli bianchi dalle corna legate per la prima volta. Un
sacerdote vestito di bianco taglia il vischio con una serpe d'oro e lo riceve
su un saio bianco. Immolano quindi le vittime pregando il dio di rendere il suo
dono propizio a coloro a cui l'ha accordato. Credono che il vischio, macerato
nella bevanda, doni la fertilità a ogni animale sterile e che sia un rimedio
contro tutti i veleni.”
Alla fine di
questa cerimonia la carne dei due tori sacrificati, simbolo di fertilità e
fecondità, veniva distribuita alla popolazione insieme a rametti della
pianticella sacra come apportatrice di lunga vita e prosperità. Il vischio veniva
anche conservato per riti religiosi e magici di tutto l’anno.
Nel 1824, il poeta e letterato francese Antoine Fabre d'Olivet, erudito,
filologo, cultore di teosofia ed occultismo, definito metafisico mistico e religioso, oggi ingiustamene
negletto, nella sua "Storia
filosofica del genere umano” scrisse una bizzarra ricostruzione di dodicimila
anni di storia umana nella quale lo scopritore del vischio sarebbe stato un giovane
druido di nome Rama. Questi, addormentatosi sotto una quercia, avrebbe avuto in
sogno la rivelazione del modo per guarire il suo popolo da una grave epidemia
che lo aveva colpito usando un infuso di una pianticella che cresceva su
quell'albero. Svegliatosi, egli preparò il medicamento che risultò subito
assai efficace permettendogli di radunare in breve attorno a sé un gran numero
di proseliti, i quali, da lui guidati, opposero alla allora violenta e crudele
dottrina delle Voluspe una nuova filosofia di pace e non violenza. Per evitare
uno scontro diretto, questi Celti decisero di andarsene dalle loro terre
d'origine e con una lunghissima migrazione giunsero fino in India, dove
fondarono un immenso e florido impero.
Pur considerando questa ipotesi fantasiosa, risulta comunque palese il
significato che la tradizione attribuisce al vischio: il tramite per mezzo del
quale la divinità (secondo gli antichi vi sarebbe spesso durante il sonno una
comunicazione con stati superiori dell'essere) ha permesso al grande Iniziato
Rama di far salire la sua gente su un gradino più alto della scala evolutiva
spirituale. Esso è considerato, dunque, un’emanazione della divinità sulla Terra, elemento
paragonabile all'haoma avestico,
al soma vedico o al sangue di Cristo raccolto nel
Santo Graal: simbolo dell'Immortalità comunicata all'anima dell'uomo, della sopravvivenza della vita alla morte.
Quercia e vischio insieme erano la rappresentazione del creato unito al
Creatore e periodicamente da esso separata. La quercia, per la sua longevità
simboleggiava l'Eternità, mentre il
vischio era l'emblema del continuo rinnovarsi.
Non per nulla, un'altra interpretazione sull’origine del nome dei druidi
dice che esso sarebbe derivato da dru-vid, forza-saggezza, simboleggiati
rispettivamente dalla quercia e dal vischio e riferentisi all'autorità temporale
e spirituale.
Analizzando tradizionalmente il rituale della raccolta del vischio si
possono incontrare diversi elementi che ne mettono in luce queto aspetto.
Innanzi tutto il color bianco (i tori, la veste, il panno). Questo colore, simbolicamente
assimilabile all'argento è alchemicamente appartenente alla forza lunare e
rappresenta uno degli elementi della dualità ermetica fondamentale, essendo
l'altra la forza solare cui appartengono i colori rosso e oro.
Il falcetto d’oro usato dai druidi (che Plinio associa ad una serpe) può essere considerato come l’unione di questi
due opposti, essendo la sua forma chiaramente lunare e il metallo di cui era
composto solare. Esso era dunque un simbolo analogo allo yin-yang cinese, alla
doppia spirale, al caduceo ermetico, alla doppia scure o al martello di Thor:,
simbolo della bipolarità della Manifestazione,
dell'evoluzione e dell'involuzione, della nascita e della morte, dell'attività e della passività.
Secondo la tradizione, il rito di raccolta prevedeva, inoltre, che le mani fossero lavate
nell'acqua corrente di un fosso o di un ruscello e lasciate asciugare
all'aria. Inoltre, quando il sacerdote tagliava il vischio con il suo falcetto
d'oro doveva stare attento a farlo
cadere in un drappo bianco, in quanto non doveva toccare terra per non perdere
i suoi poteri. Queste indicazioni non sono prive di significato e si
riconnettono alle prove cui simbolicamente l'Iniziando deve sottoporsi, prove che alchemicamente vengono definite
della Terra, dell'Acqua, dell'Aria e del Fuoco.
Il vischio, sempre secondo
la tradizione magica, accoppiato con l'oro, simbolo solare al pari
della stessa quercia, potenzia le sue caratteristiche: tre grani di vischio
fasciati d'oro e saldati l'uno all'altro divengono così un talismano universale
materializzando le tre chiavi di potenza sui tre Mondi.
La cerimonia della raccolta del vischio era dunque permeata di un
simbolismo di valore elevatissimo che oggi siamo in grado di comprendere solo
in parte.
Estremamente interessante è poi notare la data in cui questa cerimonia
veniva eseguita, il solstizio d'inverno, e constatare come nelle più diverse
tradizioni tale ricorrenza sia stata celebrata con significati analoghi.
Durante questo importante evento astronomico
si svolgevano presso i vari popoli i Misteri dell'antichità e in quel giorno
venivano iniziati coloro che avevano superato un preliminire periodo di prova.
Con ogni probabilità anche il rito della raccolta del vischio dovette avere due
momenti, uno essoterico, aperto a tutti, ed uno esoterico, legato a vere e
proprie cerimonie di iniziazione, ristretto ad una piccola cerchia di maestri e
iniziandi, che si doveva tenere nelle parti più recondite delle foreste sacre,
in luoghi particolarmente adatti.
Di tali riti rimase memoria per lungo tempo
anche dopo la scomparsa del druidismo.
Ancora nel tardo medioevo era consuetudine svolgere processi e riunioni
solenni all'ombra di secolari querce e si ornavano le case col vischio o con
rami di quercia per tenere lontani i fulmini.
Un ultimo accenno alle proprietà
terapeutiche che ancora oggi gli vengono attribuite. Le foglie e i ramoscelli
giovani del vischio contengono viscalbina, saponina, alcune resine e un
principio attivo con azione antispasmodica e sedativa, anche allucinogena,
efficace nei casi dì isterismo ed epilessia. Inoltre, ha proprietà
ipotensive e vasodilatatorie, antinfiammatorie, diuretiche e depurative e di
recente si sono scoperte anche sue proprietà antitumorali. Tuttavia, tutte le
parti della pianta sono tossiche, in modo particolare le bacche, e l’avvelenamento da vischio ha una
sintomatologia molto seria e complessa, con manifestazioni a carico del sistema
cardiocircolatorio, di quello nervoso e dell’apparato digerente e può indurre
il collasso circolatorio anche con esiti fatali.Ovviamente tutto ciò era ben noto ai
Celti che sapevano
sfruttare le proprietà benefiche senza rischio, usandone solo la parte erbacea per farne
degli infusi curativi. I druidi possedevano certamente capacità sciamaniche e le
loro cure erano parte di un insieme di conoscenze mediche e magico-rituali.
Alcuni dicono che adoperassero il vischio essiccato per procurarsi una specie
di "morte temporanea" e giungere così all’estasi. In ogni caso è assai
verosimile credere che se il vischio era considerato una pianta sacra dovesse
aver dato prova agli occhi del popolo di guarigioni miracolose o di fenomeni che
potremmo classificare "sovrannaturali".
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