LA RISCOPERTA DEI "MENHIR" PIEMONTESI
Roberto D'Amico
Non furono risparmiati neppure alcuni dei giganteschi massi del monumentale cerchio di Avebury, in Inghilterra, che vennero abbattuti, posti sopra grandi fuochi, cosparsi d'acqua fredda in modo da farli frantumare e, infine, ridotti a pezzi, riutilizzati come materiale da costruzione o sepolti. L'azione di distruzione venne condotta in modo particolarmente sistematico e capillare in Italia, dove la presenza della Chiesa era più permeante.
Una costante
opera di occultamento e di voluta messa in oblio di quelle opere antiche è tuttavia
continuata praticamente, in modo più velato, dal Medioevo sino ad oggi. Se
alcuni di quei monumenti sono riusciti a sfuggire al rigore dei Capitolari ciò
fu dovuto all'inaccessibilità o all'isolamento dei reperti o, più spesso, alla devozione
popolare che la gente aveva nei loro confronti che costrinse la Chiesa a
conservarli "cristianizzandoli", incidendovi o sovrapponendovi delle
croci. Tanto per fare un esempio vicino a noi, fu questo il caso del masso
situato davanti all'Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso, all’imbocco della Val
di Susa.
Anche in
Piemonte, ogni valle, ogni altura era costellata da pietre sacre, la maggior
parte delle quali sono andate perse. I grandi massi con incisioni coppelliformi
sono sopravvissuti in maggior numero perché difficili da asportare dal terreno
e vennero per lo più dissacrati associandoli a culti pagani, sabba, demonio,
masche, ma per le pietre erette la distruzione fu quasi totale
È un bel reperto e ora la si può vedere eretta accanto al luogo dove fu ritrovata.
Un altro
megalite venne scoperto nel 1988 a Mazzè, sempre in provincia di Torino. durante
alcuni lavori di sistemazione del bacino artificiale della Dora. A monte della
diga, un grande blocco di forma allungata completamente sommerso dall'acqua fu
casualmente individuato nella struttura realizzata nel 1921 allo scopo di
contenere l'erosione delle sponde. La Soprintendenza Archeologica del Piemonte lo
giudicò autentico e così il grande monolite, lungo 4,2 metri, con una
circonferenza alla base di 2 metri e alla sommità di circa 1 ed un peso che supera
le due tonnellate e mezzo, è stato recuperato, studiato e, infine, collocato in
una degna sistemazione in un'area dedicata, anche se fuori dal suo contesto
originale. Segni ancora visibili a circa 40 cm dalla base permettono di
definire l'originario piano di interramento della stele. Presenta tracce
evidenti non solo di una bocciardatura, ma anche di una levigatura abbastanza
accurata. Si pensa che fosse originariamente posizionato sull'altura
prospiciente la Dora nota come "Bicocca" e che, riconosciuto come
simbolo pagano, venne intenzionalmente abbattuto, trascinato e fatto rotolare
fino al fiume.
Nel 1992, a
Chivasso, un altro menhir, denominato popolarmente "Lapis Longus",
venne dichiarato reperto d'interesse archeologico dalla Soprintendenza e,
grazie all'Amministrazione Comunale, sottoposto a restauro dopo ben 500 anni
dalla sua riscoperta! Avete letto bene:
500 anni! Fu, infatti, ritrovato durante i lavori di ristrutturazione della
Piazza del Castello, nei pressi della Chiesa di S. Michele, nel 1499. L'antico
oggetto di culto venne declassato a "berlina" e i debitori insolventi
erano costretti per dileggio a battervi sopra le natiche nude. Verso la fine
del XVII secolo la pietra venne appoggiata ad un muro della piazza, nel 1798, i
Francesi la spostarono alla periferia occidentale di Chivasso e nei primi del
'900 venne trasformata in panchina!
A Cavaglià, in
provincia di Biella, nel 2004, accanto al parcheggio della piazza adibita a
mercato, furono riconosciuti seminascosti tra rovi e vegetazione selvatica 11
monoliti, dei quali uno ancora in posizione verticale. Tra gli anni '70 e '80,
per consentire i lavori di costruzioni delle case, quelle pietre, rimaste
nell'oblio per millenni, vennero spostate dalla loro posizione originaria e
ammassate poco lontano. Lì sono rimaste fino al 2005 quando, grazie al lavoro
dello studioso torinese Luca Lenzi, e di alcune associazioni locali, tra cui
Anticaquercia di Biella e il Gruppo Archeologico Canavesano, i menhir sono
stati rimessi, anche se non esattamente nel luogo originario né nella posizione
esatta, a formare un grande "cromlech" in prossimità della rotonda
della statale Santhià – Biella.
Un altro
cerchio di pietre, ancora in posizione originale, si trova in valle di Lanzo nella Frazione Tomà di Martassina, a
poche centinaia di metri dalla SP1.
Ben segnalato e ottimamente
conservato è, invece, l’impressionante Menhir dell’Airette, poco sopra il paese
di Fè, sempre nelle Valli di Lanzo. Si tratta di un gigantesco e massiccio monolite
di 4,4 metri di altezza. La sua messa in opera da parte dell’uomo è stata
provata dal rinvenimento nel cavo di fondazione di schegge della vicina
pietraia e ciottoli raccolti nel letto della Stura.
Potrei continuare a lungo, ricordando, ad esempio, il cromlech dell’"Area Megalitica di Cima Castiglione" sul Monte Ciabergia, non lontano da Colle Braida, a breve distanza dalla celebre Sacra di San Michele, i megaliti di Monte Pietraborga, sopra Trana, quelli di Briaglia, nelle Langhe, il menhir di Rivara, nel Canavese, e molti altri ancora ubicati in luoghi di montagna più difficilmente raggiungibili. Credo, però, di essere riuscito in modo sufficiente a dare un’idea di quanto quelle antiche pietre fossero diffuse anche da noi. I
Commenti
Posta un commento