Dai blasoni mamelucchi ai semi delle carte da gioco

Roberto D’Amico

 


Un'intera biblioteca potrebbe essere riempita con l'enorme numero di opere, tra note, saggi e libri, scritte negli ultimi cinque secoli sull' origine e sul significato delle carte e del gioco dei Tarocchi.
Gli Arcani Maggiori, racchiudenti, come si dice, l'antica Scienza Occulta, tramandata sin dalla notte dei tempi per mezzo della mai interrotta Catena Iniziatica, ne sono la parte più nota e misteriosa: ventidue tavole attribuite al mitico personaggio noto come Ermete Trismegisto, il tre volte grande. Secondo la tradizione fu lui ad occultare in esse, usando il codice dei simboli, la Scienza Iniziatica dell'Antico Egitto.
Più trascurate dai vari autori sono state, invece, le 56 carte "comuni" del mazzo dei Tarocchi, i cosiddetti Arcani Minori, suddivise nei quattro semi di Coppe, Denari, Spade e Bastoni. 
Ciascun seme, come è noto, comprende dieci carte numeriche e quattro figure; il Re, la Regina, il Cavallo e il Fante.



I mazzi delle comuni carte da gioco moderne sono una diretta derivazione degli Arcani Minori.
Con il passare del tempo, però, si sono modificati i semi negli attuali Cuori (Coppe), Picche (Spade), Quadri (Denari) e Fiori (Bastoni). Le quattro figure sono diventatre tre, con l’eliminazione del Cavallo, e si è aggiunto il Jolly, che pare sia una trasformazione della carta del "Matto" (la numero zero degli Arcani Maggiori).
L'origine degli Arcani Minori è alquanto incerta e ricercatori di ogni epoca si sono sforzati di individuarne la provenienza. Secondo Court de Gebelin, dotto studioso di mitologia e religione del XVIII secolo, essi non sarebbero altro che una allegoria della filosofia e della religione misterica egizia espressa in segni geroglifici.
Egli associò i quattro semi alle quattro istituzioni fondamentali egizie : la Spada, rappresentante il sovrano e la nobiltà militare, la Coppa, simbolo della casta sacerdotale, il Denaro, il commercio, e il bastone, l'argicoltura. Non vi sono tuttavia validi argomenti per avvalorare una simile interpretazione.
Unica cosa certa è che sempre, quando si parla di Tarocchi, prima o poi affiora l'Egitto.
D'altro canto anche i pochi dati storici in nostro possesso sembrano confermare un’origine egiziana.
II più antico gioco di carte noto è infatti egiziano e risale al medioevo, al periodo mamelucco (XI - XIV secolo). Era conosciuto con il nome di "NÀIB", che si può tradurre come "Governatore", delegato dal Sultano, ed aveva un mazzo formato da 56 carte divise in 
quattro semi: Tûmân (coppe), Suyûf (scimitarre),Darâhim (dal nome di Dhiram, una valuta araba) e Jawkân (bastoni da polo).  Ogni seme comprendeva dieci carte numeriche e quattro figure : il Re, un Primo ed un Secondo Governatore e un Aiutante. Ovviamente, queste carte non avevano raffigurazioni umane dato che nell’Islam sono vietate, quindi erano per lo più astratte. 
Nel XIV secolo,  probabilmente portato da qualche commerciante durante un suo viaggio da oriente ad occidente,  il "NAIB" approdò in Europa, facendo scalpore.  In Italia furono in breve prodotte le prime carte europee, dette "NAIBI",  con la variante che uno dei Governatori venne sostituito dalla Regina.
La derivazione delle carte italiane dal  gioco egiziano è inequivocabilmente testimoniata non soltanto dal nome,  ma anche da una citazione storica di un cronista del XV secolo, certo Giovanni Covelluzzo,  riportata da Feliciano Bussi nella sua "Storia di Viterbo" pubblicata nel 1742 :

“Anno 1379, fu recato in Viterbo il gioco delle carti, ..
 .   che venne da Seracenia e chiamasi tra loro Naib."
 
Qualche anno più tardi, carte da gioco vennero prodotte anche in Spagna e si diffusero a tal punto da obbligare Giovanni I, Re di Castiglia, ad emettere, nel 1387, un editto che proibiva il gioco dei dadi, degli scacchi e delle "Naipes".
Ancora una volta è indubbia l'origine etimologica del nome spagnolo.
La diffusione delle carte raggiunse poi la Germania e la Francia, dove con l'andare del tempo vennero apportate nuove modifiche, talvolta anche sostanziali, per una sorta di naturale appropriazione. Cosi in Germania i semi diventarono Cuori, Ghiande, Foglie e Campane, mentre in Francia furono introdotti i semi oggi universalmente in uso nelle comuni carte da gioco : Cuori, Quadri, Fiori e Picche.
È curioso notare che il seme della Coppa si trasformò nel segno del Cuore seguendo una trasposizione simbolica di grande valore iniziatico, che ci riporta ancora una volta in terra d'Egitto.
Il geroglifico indicante il cuore era infatti un "vaso", a simboleggiare il contenitore della vita, delle emozioni e dell'intelletto, che in epoche e luoghi diversi trovò i suoi corrispettivi simbolici nella coppa del "Santo Graal", contenente il sangue di Cristo, fonte di vita eterna, e nel "Sacro Cuore" del cristianesimo.
È lecito supporre che nello stesso periodo in cui le carte del "NÀIB" approdarono in Europa, e forse anche nello stesso modo, dall'Egitto  giunsero  gli  Arcani  Maggiori,  utilizzati prevalentemente per la cartomanzia, come metodo di preveggenza.

In che modo e perchè  essi finirono per unirsi tra loro è un mistero; certo è che,  per uno strano scherzo del destino, in Europa si  formò un ibrido miscuglio,  in cui la Conoscenza Iniziatica dell'Antico Egitto e la violenza e la brutalità della società mamelucca si trovarono a convivere.
Il  "NÀIB"  altro non  era,  infatti,  che una trasposizione allegorica della crudele società mamelucca, retta da una oligarchia militare composta da 24 grandi Emiri, ciascuno forte di una propria armata e di fondi propri. L'emiro più potente era eletto Sultano.
In tempo di guerra le varie armate erano unite contro i comuni nemici, ma in tempo di pace ogni emiro cercava, appena possibile, di avere il sopravvento sugli altri e conquistare più potere.
Le  carte  del  "NÀIB" rappresentavano  appunto quattro  armate mamelucche con la loro struttura gerarchica.  Le regole del gioco non  sono note,  ma non  è difficile  supporre che  il vincitore dovesse sconfiggere  gli altri  tre avversari per poter divenire Sultano, in analogia con il sistema politico del tempo.
Una  conferma dell'origine sembrerebbe  essere inoltre  fornita dalla scelta degli stessi quattro semi, che secondo alcuni autori deriverebbero da alcuni  degli emblemi  delle più  alte cariche mamelucche.
Alla corte del  Sultano i titoli più importanti erano quelli di "Silahdar, responsabile  dell’armeria e del  mercato delle armi, di "Khazindar",  il Gran Tesoriere,  di "Saqi", il  "Portatore di Coppa",  e di  "Jukandar", il  "Portatore della mazza da polo", sovrintendente degli  ippodromi  del  Cairo,  dove  i  cavalieri mamelucchi praticavano quello sport come parte integrante del loro addestramento militare.
Ad ogni carica corrispondeva uno stemma con la raffigurazione delle insegne del titolo,  che veniva rappresentato sugli edifici pubblici, sulle insegne militari e persino sui servizi da tavola delle residenze private.
Il  "Silahdar" aveva nel suo blasone una spada, il  "Saqi" una coppa, il  "Khazindar" una moneta e il  "Jukandar" una mazza da polo.
Gli studiosi di cose orientali sono tutttora  incerti  sulla origine di questa simbologia, che potremmo, forse impropriamente, associare all’araldica nostrana.   Sino all’inizio del secolo alcuni credettero possibile una loro derivazione dai geroglifici egizi.  Oggi l'ipotesi più accreditata è che, invece,  esse abbiano rappresentato le differenti  scuole nelle quali i  giovani mamelucchi  avevano  iniziato i  loro  studi.
Quello che a noi  interessa in questo studio è comunque  il constatare la  reale,  indubbia  somiglianza tra  i blasoni mamelucchi e i semi delle carte del "NÀIB".

Un'ipotesi,  per quanto validamente supportata da molti elementi, rimane tale in assenza di prove tangibili.  Terminata la ricerca bibliografica mi sono dunque gettato nella ricerca "sul campo"  delle  poche tracce rimaste dell'antica araldica mamelucca, ottenendo risultati insperati ed entusiasmanti.
Girare per i vicoli della Cairo vecchia, compresa tra la Città dei Morti, il Bazar di Khan-el-Khalili e la Cittadella, è un'esperienza unica ed affascinante. Il pulsare variopinto della vita di una moltitudine di persone è percepibile ad ogni passo e l'ambiente è quello tipico di un paese arabo
Nel caotico ammasso di costruzioni in cemento e mattoni, di età indefinibile, affiorano qua e là i resti di pregevoli opere del passato, inghiottite dalla disordinata espansione che ha visto diventare il grande Cairo una tra le più popolose città del mondo..
La maggior parte di tali opere, per lo più moschee, tombe o "madrase" ( le scuole-monastero islamiche), risale al periodo compreso tra il XII ed il XIV secolo, cioè proprio al periodo mamelucco. In quei tempi esse sorgevano isolate tra le immense tendopoli degli accampamenti degli eserciti dei vari emiri.
In alcune di loro erano celati gli oggetti della mia ricerca: i blasoni mamelucchi. 
Ero facilitato dal fatto che sapevo che questi, anche se potevano talvolta essere difficilmente rintracciabili da un occhio poco attento, avevano generalmente tutti la medesima forma: uno scudo rotondo diviso orizzontalmente in tre campi con l'emblema raffigurato nella fascia centrale. Non mi restava quindi che aguzzare la vista e fecalizzare la mia attenzione su tutto ciò che poteva somigliar loro.
Con una certa facilità trovai il primo blasone su ciò che resta di un palazzo del 1347: una facciata con tre ampie finestre ed un portale ad arco, ai lati del quale, uno per parte, furono rappresentati due stemi del "Silahdar" del sultano, l'emiro Mangak al Yusufi. Il portico, oggi impietosamente utilizzato come garage-officina, era il luogo in cui i soldati del Silahdar stazionavano facendo la guardia sia all'entrata del palazzo che al mercato delle armi. La ribellione era sempre in agguato ed il sultano lo sapeva bene. Per questo il compito del Silahdar era delicato ed importante.



La costruzione, a pochi passi dalla piazza delle due famose ed imponenti moschee di Sultan Hassan (1362) e Al-Rifài (1911), mostra ancora il suo antico carattere militare, sobrio, ma raffinato, come si addiceva alla sua importanza, anche il blasone del Silahdar era molto semplice: un cerchio racchiudente l'immagine di una spada ricurva con elegante impugnatura
Incoraggiato da questa prima scoperta mi inoltrai ulteriormente per la stessa via e, a poche decine di metri di distanza, al di sopra di un elaborato portale della madrasa di Ilgay al-Yusufi (1373) ecco apparire il blasone del "Saqi", il portatore di coppe del sultano.
A differenza del precedente edificio, questo complesso è ancora ben conservato e, oltre ad un minareto in classico stile mamelucco, presenta una cupola assai originale decorata a cordoni curvi.


L'emiro Sayf Ai-Din Ilgay fece costruire il monumento quando giunse all'apice della sua carriera, poco dopo essere stato procalamato comandante in capo delle armate ed aver sposato la madre del sultano Sha-Ban.
Altri due bellissimi esemplari di blasone di un Saqi sono inseriti sulla facciata del "Wikala" dell'emiro Qawsun (1330), ben visibili sull'unico portale rimasto, non lontano dalla celebre porta di Bab-el-Nasr.
Un solo esempio è sopravvissuto, invece, dello stemma del "Jukandar", inserito come decorazione esterna al di sopra di una finestra della madrasa dell'emiro Qarasunqur (1300), ancora ben conservata, situata nella zona nord di quella che fu l'antica città fatimida.
Si tratta di. un emblema molto semplice, che mostra due mazze da polo stilizzate: ecco la figura dei Bastoni!


Allo stesso tempo queste due mazze sono affiancate in modo da formare un disegno che, con non molta fantasia, potrebbe essere facilmente interpretato come una figura di tipo "floreale", indicandoci forse la chiave della avvenuta transizione dai Bastoni ai Fiori.               
La ricerca procedeva spedita. Avevo già individuato i segni di Spade, Coppe, Bastoni e, con quest'ultimo, una ipotizzabile figura da cui persino il segno dei Fiori sarebbe potuto derivare.
Non rimaneva che trovare l'ultimo segno: il blasone del "Khazindar", il tesoriere del sultano, raffigurante una moneta, il segno di Denari.


Purtroppo, con mia grande delusione, scoprii che l'emblema di tale carica non era sopravvissuto al tempo. Le sorprese erano, però, tutt'altro che finite...
Un centinaio di metri più avanti, sulla stessa strada della madrasa di Ilgay Al-Yusufi, dopo aver oltrepassato altri notevoli ed affascinanti monumenti antichi camminando su un terreno fangoso rimasto probabilmente immutato da quel lontano passato, all'improvviso, sorprendentemente, il mio sguardo indagatore si posò su una figura inaspettata: un Rombo Rosso, il segno di Quadri delle moderne carte da gioco!


Scoprii trattarsi del blasone dell'emiro Bashtak, "Jamdar" (guardarobiere) del sultano, carica che veniva rappresentata da un fazzoletto, il rombo appunto. Il piccolo edificio, quasi completamente interrato, risalente al 1341, era stato il suo "hammam" (bagno pubblico).
Di questa piccola, ma pregevole opera non resta che il portale, decorato con disegni geometrici formati da blocchi di marmo bianco e nero (lo stesso blasone è fomato da un mosaico in marmo) su cui è riportata la iscrizione commemorativa della sua costruzione.
Incredibile a dirsi, ma il bagno è ancora oggi utilizzato dalle donne del quartiere. Sono rimasto molto sorpreso nell’’individuare questo blasone, troppo uguale al segno dei Quadri per poterlo ritenere casuale. Per cui non mi sembra azzardato avanzare l'ipotesi che il gioco del Nàib venne probabilmente importato in occidente con diverse varianti, derivate dai vari blasoni riferentesi alle varie cariche degli emiri, includenti anche questo segno, che in Francia venne alla fine preferito a quello della moneta.
La ricerca sul campo era così giunta al termine con la grande soddisfazione di poter affermare di essere riuscito a supportare in modo più che valido la teoria che attribuisce l'origine dei segni delle moderne carte da gioco agli antichi blasoni mamelucchi.
Come Ricercatore dell'Insolito spero di essere riuscito ad offrire un nuovo spunto di ricerca per chi vorrà approfondire con ulteriori indagini e studi perosnali Se vi capiterà di fare un viaggio al Cairo, oltre al Museo Egizio, la Cittadella, Khan-el-Khalili e le moschee di rito, non perdete l'occasione di andare a vedere gli enigmatici blasoni degli emiri mamelucchi! 



 Una bella lettura: La storia delle carte da gioco - 7bellonline

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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