Il mistero dei cerchi megalitici scozzesi con “pietra coricata”

Roberto D'Amico



La Scozia conserva numerosi esempi di cerchi di pietra, costruiti nel periodo compreso tra il 2.700 e il 2.000 a.C. dalle popolazioni di agricoltori/allevatori che si sono stanziate in quell'area provenienti dall'Europa nord-occidentale.
I cerchi più importanti vengono definiti in lingua inglese come "recumbent stone circles", che con una traduzione letterale si potrebbe italianizzare in "cerchi con pietra coricata". Sono così denominati in quanto hanno la particolarità di avere una grande pietra adagiata su di un fianco a chiudere lo spazio tra i due monoliti più alti.
Tali cerchi sono unicamente presenti nella regione del Grampian. In realtà, se ne conoscono esempi simili, costruiti tra il 1500 e l'800 a.C., in una regione altrettanto piccola, nelle contee irlandesi di Cork e di Kerry. Fino all'inizio del '900 erano anche loro chiamati con lo stesso nome, poi, quando è stato chiaro che vi erano delle differenze sostanziali, sono stati denominati "Cork-Kerry stone circle"; oggi sono conosciuti come "Axial stone circle". Si pensa che essi siano derivati dal modello scozzese, forse attraverso lo spostamento di qualche piccola comunità, ma l'ipotesi resta molto dibattuta.

Dei 99 probabili siti scozzesi nei quali si crede possano un tempo essere stati edificati dei "recumbent stone circles", 74 sono certi; di questi, circa una trentina sono visitabili. 

Situati sulla cima di una collina o su terrazze naturali o artificiali aperte verso Sud, hanno un diametro compreso tra i 18 e i 25 metri e sono formati da un numero variabile di pietre erette, da 8 a 12 (oltre alla pietra coricata), la cui altezza varia da mezzo metro a tre metri. Come già detto, le pietre più alte del cerchio fiancheggiano quella coricata (che pesa in media intorno alle 24 tonnellate); tutte le altre sono poi disposte con altezze decrescenti fino ad arrivare alla più bassa, diametralmente opposta alla "recumbent stone"'. 

 

 

 

  

L'ipotesi più accreditata vuole che le pietre coricate avessero lo scopo di permettere l'osservazione del levarsi o del calare della luna all'orizzonte. La pietra orizzontale e le due pietre erette ai suoi lati sarebbero orientate in modo da inquadrare lo spazio di cielo all'interno del quale, in determinati periodi dell'anno, la luna si alzava o tramontava. L'associazione con riti legati alle fasi lunari sembrerebbe per altro provata dall'orientamento stesso delle "recumbent stones" (Sud/Sud-Ovest) e dal ritrovamento di coppelle su alcune delle pietre coricate o di quelle fiancheggianti che servivano a segnalare certe particolari posizioni dell'astro nel cielo notturno. 
Secondo alcuni studiosi il sistematico uso di rocce ad alto contenuto quarzitico nella costruzione di quel primitivo "quadrante" sarebbe un'altra prova indiretta di un tale collegamento. Il loro colore bianco latteo avrebbe, secondo la loro teoria, generato nelle menti primitive dei loro costruttori un parallelo immaginario con il colore della luna.
Secondo altre interpretazioni, la pietra coricata avrebbe potuto essere una possibile simbolica porta d'ingresso all'aldilà e aver avuto origine dalla pratica rituale di bloccare l'entrata delle tombe a camera. Ciò la metterebbe quindi in relazione con riti di tipo funerario.


II ritrovamento di "cairns" (cumuli sepolcrali formati da ammassi di pietre di piccole/medie dimensioni) all'interno di molti dei cerchi, non lascia per altro dubbi sul fatto che essi siano anche stati utilizzati come luoghi di cremazione e tumulazione. È tuttavia fuori discussione che i "recumbent stone circles" non vennero inizialmente costruiti come monumenti funerari. 
Essi furono chiaramente ideati per essere utilizzati da celebranti disposti al loro interno, che dunque non poteva essere ingombro di costruzioni mortuarie; erano luoghi sacri entro ai quali si compivano riti collegati ai cicli stagionali e alla fertilità dei campi e del bestiame. La loro funzione funeraria iniziò solamente un millennio circa dopo la loro costruzione.

  

  

I "Clava cairns", cerchi di pietre con all'interno costruzioni sepolcrali tipici della zona di Inverness risalenti al 3.000-2.500 a.C., sembrano essere l'anello di congiunzione tra i due tipi di utilizzo. 
La cartina allegata, tratta dal libro "Neolitic and Bronze Age Scotland" di P.J. Ashmore (Historic Scotland, 1996), evidenzia la distribuzione geografica di "Clava cairns" e "recumbent stone circles" e il fatto di come essi siano caratteristici di due distinte zone geografiche confinanti, entrambi molto ristrette (circa 20 Km x 40 Km).

 

Questa peculiarità sembrerebe confermare che i due fenomeni furono una espressione ideologica regionale, nata, sviluppatasi e decaduta prima di aver avuto la possibilità di potersi diffondere maggiormente o anche solo di influenzare i tenitori vicini. 

Partendo da queste semplici considerazioni i ricercatori hanno tratto indicazioni sufficienti per tentare di ricostruire l'organizzzazione sociale di quel periodo e le relazioni tra le varie comunità che popolavano la Scozia in quei tempi lontani.
È stato possibile, ad esempio, ipotizzare che, sebbene sia verosimile pensare che esse avessero tutte una medesima base di credenze religiose, ogni tribù dovesse possedere una propria individualità, tale da rendere necessari luoghi cerimoniali diversi e differenziati. Persino all'interno stesso dei due gruppi più importanti, "quello dei cairns" e "quello dei "recumbent stone circles", dovettero probabilmente esistere varianti localizzate, come dimostrato dalla diversa orientazione (anche se di pochi gradi) della pietra coricata in alcuni dei "recumbent stone circles" e dal ritrovamento di cerchi distanti anche meno di un chilometro l'uno dall'altro.
Anche la scoperta all'interno dell'area popolata dalla gente dei "recumbent stone circles" di alcuni cerchi coevi, più piccoli (da 6 a 8 pietre) e senza pietra coricata, testimonia una coesistenza di culture diverse che sarebbe stata impossible senza un comune substrato socio-culturale.

Almeno una decina di cerchi con pietra coricata che meritano una visita sono facilmente raggiungibili, tanto che alcuni sono addirittura inseriti come elemento di attrazione in appositi giri turistici archeologici organizzati. Un buon terzo dei cerchi rimasti è invece, purtroppo, in completo stato di abbandono e il tentare di trovarli nel bel mezzo di campi coltivati o seminascosti tra gli alberi sulla cima di qualche ondulata collina, mette spesso a dura prova la tenacia e la caparbietà del ricercatore.

Tra quelli segnalati da libri, guide e cartelli stradali, vale senz'altro la pena di citare l'"Easter Aquhorties", nei pressi di Inverurie, il "Loanhead" di Daviot e il "Midmar kirk stane circle ", vicino a Echt.
Quello di Midmar Kirk, formato originariamente da 8 pietre erette (uno dei monoliti è però mancante) e da una massiccia pietra coricata, si trova oggi inglobato, come dice lo stesso nome (kirk in scozzese significa, infatti, "chiesa"), nel terreno adibito a cimitero retrostante l'abside di una chiesa.
Ha un diametro di circa 17 metri e la sua imponente pietra coricata, pesante circa 20 tonnellate, è lunga quattro metri e mezzo ed è affiancata da due menhir alti due metri e mezzo.

 

 

È un cerchio molto ben conservato ed è una chiara testimonianza di come il cristianesimo si sia talvolta impossessato dei luoghi precedentemente adibiti a culti pagani. In verità, tra l'epoca della sua costruzione e l'avvento della Chiesa trascorsero diversi millenni. Questa simbiosi evidenzia quindi anche il valore magico-religioso che è sempre rimasto associato a quelle antiche pietre, permettendo loro di sopravvivere alla mano devastatrice dell'uomo e all'implacabile avvento del cristianesimo.
Su una collina adiacente, a meno di un chilometro distanza in linea d'aria da Midmar Kirk, sorge uno dei cerchi stranamente non sufficientemente segnalati, quello di "Sunhoey", raggiungibile solo a piedi, seguendo le indicazioni per una cascina che ne conserva il nome.
È un cerchio di dimensioni notevoli (con i suoi 25,5 metri di diametro è infatti il più grande tra quelli rimasti) formato da undici pietre erette, la più grande delle quali supera i 3 metri di altezza fuori terra. Possiede una lunghissima pietra coricata (5,5 metri) sulla quale sono incise 31 coppelle.


Al suo interno sono state trovate tracce di un cairn circolare e di sepolture a cista. Forse sarà  perchè   scoprirlo   non  è   stato   semplice,   o   per  la  sua  particolare  posizione, seminascosto tra gli alberi e quasi sommerso da un'erba altissima, ma il raggiungerlo ci ha fatto una certa impressione. 
Coppelle sono anche incise su uno dei monoliti del cerchio di Daviot. Situato in una splendida posizione panoramica, è forse il più bel cerchio tra quelli visitabili nei giri turistici. Misura 20,5 metri di diametro ed è formato da 10 pietre erette di medie dimensioni e da una  grossa pietra coricata spezzatasi in due, probabilmente a causa del gelo, tale da sembrare ora due pietre distinte disposte parallelamente.
Ha la caratteristica di avere al suo interno un "ring cairn", nel quale sono stati scoperti resti di tumulazioni e  incinerazioni risalenti a periodi di mille anni posteriori a quello dell'edificazione originale.   Esso  è  dunque un’evidente  dimostrazione  di  come  questi monumenti siano stati riutilizzati in modo diverso nelle varie epoche.


L'"Easter Aquhorties" è il cerchio che amo definire "mistico".
Il solo fatto che per raggiungerlo si debba salire a piedi per una piccola stradina contornata dai tipici muretti in pietra sin sulla cima di una stupenda collina, è già quasi parte di un rituale d'iniziazione .
Si rimane affascinati dai colori del paesaggio, che si perde all'orizzonte in un susseguirsi di valli e basse colline tondeggianti sotto un ciclo pennellato dalle nuvole, come si conviene alle distese aperte sempre battute dal vento.

Il monumento, quasi perfettamete circolare, sorge su un terrapieno sopraelevato alto circa un metro ed è di notevoli dimensioni con i suoi 20 metri di diametro, anche se data la sua posizione aperta dà l'impresssione di essere più piccolo. È formato da 11 pietre erette di altezza variabile tra 1,7 e 2,3 metri e dalla pietra coricata che è un masso a forma di parallelepipedo (con faccia superiore levigata) lungo quasi quattro metri. Alle due estremità di questo masso, verso l'interno del cerchio, sono inserite perpendicolarmente due pietre più piccole di forma vagamente rettangolare, che sembrano essere state messe lì per delimitare ancor meglio un'area sacra riservata.

La differenza tra le pietre del "quadrante" e le altre è qui particolarmente evidente essendo le uniche di granito.
Quello che colpisce di più è, tuttavia, lo spazio e la vista che da questa eccezionale postazione si possono godere, a 360 gradi. Sembra veramente di essere in uno di quei luoghi che, come dicevano gli antichi, possono "mettere in relazione gli uomini con il loro spirito".

Per il turista frettoloso segnaliamo, infine, un cerchio situato a poche centinaia di metri in linea d'aria dall'aeroporto di Dyce (Aberdeen) non indicato normalmente sulle guide turistiche. Su alcune cartine è indicato genericamente come "standing stones" (pietre erette), ma viene anche chiamato cerchio di "Tyrebagger"', dal nome della collinetta su cui sorge. È un esemplare notevole di cerchio con pietra coricata, con un diametro di oltre diciotto metri.


  

Per raggiungerlo occorre salire a piedi per circa trecento metri circa la collina posta a ovest dell'aeroporto.   In mezzo ai campi, a mezza costa, un gruppo di alti alberi ben visibili delimita l'area circolare del monumento. Nove grandi monoliti (in origine forse 10) di altezza variabile da 1 a 3 metri e la grossa pietra coricata (pesante 24  tonnellate) sorgono ancora maestosi sull'alto terrazzamento,  spianato e delimitato artificialmente. Devo confessare che è stato solo visitando questo cerchio che mi è sembrato di percepire tutta l'originale "energia" di quelle pietre. Senza una apparente spiegazione questo è per me divenuto il cerchio "esoterico". Solo in seguito, ripensandoci, ho scoperto che è l'unico cerchio in cui tutte le pietre sono in granito. 

Posso ancora citare l’"Old Keig" , con il suo impressionante "recumbent" di 53 tonnellate (il più grande conosciuto), il "Nine Stanes" e l’”Eslie the Greater" di Mulloch o il "Tomnaverie" di Tarland, ma non aggiungerei nulla a quanto detto in precedenza. 

Ogni qualvolta ci si trova di fronte a "menhìr", "dolmen" e "cromlech" è difficile riuscire ad immaginare lo sforzo che dovette essere richiesto per la loro costruzione da parte delle piccole comunità di oltre 5000 anni fa, con i rudimentali mezzi tecnici ed il limitato numero di braccia a loro disposizione. Si stima che in quei tempi il numero di individui abili per ogni gruppo fosse dell'ordine di 10/20 unità! Anche ammettendo la possibiltà che per la costruzione di monumenti di questo tipo, probabilmente usati in comune, alcuni gruppi potessero unire le loro forze, si tratta sempre comunque di manodopera molto limitata, da 30 a 100 elementi al massimo.

Si tende normalmente a pensare solo alle difficoltà e all'immane fatica richiesta per il trasporto e l'erezione dei megaliti (come per l'enorme "recumbent" dell'"Old Keig" trasportato per oltre 10 chilometri). In realtà questi erano sì lavori che dovevano richiedere tempo e sudore, ma nella pratica potevano essere probabilmente facilitati dall'uso di tronchi, per un trasporto per rotolamento, o dall'impiego di slitte e soprattutto di forza animale.

Certamente questi centri sacri dovevano essere progettati, prima che costruiti La scelta del luogo comportava poi sicuramente uno studio geomantico. 

Non era sufficiente la posizione predominante. La vicinanza di sorgenti o corsi d'acqua, la presenza di misteriose energie telluriche erano certamente gli altri elementi necessari per una corretta localizzazione del sito. Seguiva una pianificata modifica estetica del paesaggio: il monumento diveniva punto di riferimento e di identificazione, ed era pure una sorta di messaggio sociale indirizzato agli altri gruppi limitrofi. Non è inverosimile pensare che ci fosse persino una certa competizione tra le comunità vicine per riuscire ad avere il cerchio più bello, più grande, con le pietre più grosse e "più potenti".
Anche la ricerca dei monoliti più adatti doveva richiedere tempo e esperienza. Questa era certamente una delle altre prerogative dello sciamano, unico detentore della sapienza e unico ad  essere "guidato"  dagli spiriti.   La geometria basata sul cerchio, simbolo dell'universo (in fondo ogni cerchio di pietre era una  riproduzione  del   macrocosmo   nel   microcosmo,   un'isola   sacra), l'orientamento accurato delle pietre, la loro disposizione a seconda della loro altezza, forma e composizione erano tutti altri elementi fondamentali del progetto.

Infine, non bisogna sottovalutare il complicato lavoro di preparazione del sito prescelto, lo spianamento, in taluni casi il terrazzamento o lo scavo di un fossato perimetrale e la preparazione delle buche in cui successivamente sarebbero state inserite le grandi pietre verticali (non dobbiamo dimenticare, quando guardiamo un menhir, che un terzo della sua lunghezza totale è interrato). Questo lavoro era eseguito interamente a mano, con picche ricavate da corna di cervo, pale in legno o di osso, normalmente ottenute da scapole di bovidi, e ceste in fibra vegetale per il trasporto del materiale, e richiedeva dunque uno sforzo umano del gruppo oggi difficilmente valutabile. Anche per i monumenti più semplici si parla di un minimo di 6000 ore lavorative, che considerando una giornata di 8 ore, significa 750 giorni lavorativi, pari a due mesi e mezzo continuativi di lavoro per 10 uomini. Tenendo presente il fatto che ben difficilmente tutta la tribù si sarebbe potuta dedicare a tempo pieno a questo lavoro, dato che il lavoro nei campi, la caccia e la pesca avrebbero sicuramente continuato ad occuparla, anche se parzialmente, è probabile pensare che la maggior parte della realizzazione di un centro megalitico di medie dimensioni venisse eseguito d'inverno, periodo di bassa occupazione. Il terreno gelato avrebbe, inoltre, facilitato il trasporto di grandi pesi.

Nonostante siano state avanzate molte ipotesi, nessuno sa con certezza quale fosse il reale uso ed il significato dei monumenti megalitici. L'unica constatazione possibile è una provata relazione tra la loro posizione e i punti all'orizzonte dove sorgono o tramontano la luna o il sole in particolari giorni dell'anno. Questo ha permesso di collegare la loro funzione a pratiche magico-religiose di tipo propiziatorio. 

Alcuni ipotizzano che al loro interno fossero celebrati sacrifici umani, il che non è certo inverosimile, essendo i sacrifici rituali una costante presso ogni comunità antica, secondo il concetto del "dare per ricevere" o della funzione "espiatrice" nei confronti della divinità. Altri ritengono invece che fossero luoghi dove praticare riti di fertilità sotto gli auspici dell'astro lunare, necessari per garantire la continuazione della razza in aree a densità abitativa limitata. Anche in tale caso l'ipotesi non è priva di fondamento essendo tale usanza riscontrabile presso molte delle culture primitive. È anche probabile che in alcune zone tali pratiche siano sopravvissute sino alle soglie del medioevo generando i racconti sui "sabba" infernali.
Qualcuno pensa che il "potere delle pietre" sia stato molto più concreto e che i cerchi venissero utilizzati per guarire malattie e infermità per mezzo di un loro potenziale naturale amplificato sapientemente mediante il loro posizionamento. 

Al di là delle molte ipotesi, quello che è certo è che grazie ad una radicata credenza magico-religiosa il lavoro di edificazione dei recinti sacri doveva essere considerato come una parte integrante del ciclo vitale stesso della comunità. Essi potevano servire, infatti, ad ottenere informazioni sul succedersi del tempo, sull'alternarsi delle stagioni (e dunque sulle scadenze per i lavori agricoli), sull'awicinarsi di calamità naturali ed erano il tramite fisico tra il mondo umano e quello degli spiriti degli antenati.

I sacerdoti/sciamani, mediante accurate osservazioni dei corpi celesti, posizionarono le pietre in modo preciso, tale da consentirgli di rendere palese al popolo il loro potere, probabilmente dimostrando di saper controllare o comunque di poter influire sugli eventi naturali. Possiamo immaginare la stupita ammirazione che la gente doveva avere per questi "uomini della magia" in grado di predire l'alternarsi dei cicli stagionali e stabilire se l'inverno sarebbe stato freddo o se il villaggio avrebbe goduto un buono o un cattivo raccolto o di guarire gli ammalati o di garantire la fertilità delle donne. Anche il contesto ambientale in cui questi monumenti vennero eretti viene spesso dimenticato. 
Oggi li troviamo per lo più in mezzo a campi coltivati, quando non addirittura inglobati all'interno di nuovi complessi residenziali. Al tempo in cui furono costruiti il territorio era, però, prevalentemente boschivo ed i primi agricoltori/allevatori iniziavano appena a lottare duramente per aprire spazi alle loro coltivazioni e dovevano difendersi continuamente dall'assalto di nemici e predatori. I piccoli villaggi erano protetti da fossati e muri di terra, pietre e legno.
Facevano eccezione i cerchi di pietra e le pietre erette, per i quali non fu mai necessario alcuna protezione. Evidentemente era la loro sacralità stessa a difenderli. Essi erano territorio tabù e nessuno si sarebbe mai permesso di profanarli per paura di terribili ripercussioni sulla sua famiglia e sul suo villaggio.

I monumenti megalitici non sono dunque solo "pietre", come qualcuno dice. Essi sono derivati dalla combinazione di intuizione, fantasia, conoscenza, tecnologia, astronomia, geometria, arte, magia e soprannaturale.

Quando visitiamo questi luoghi cerchiamo dunque di "percepire" lo spirito delle genti che li costruirono, le loro credenze e capire che, in modo solo apparentemente diverso da noi, essi non facevano atro che cercare di allontanare la paura dell'ignoto, di vincere la durezza della vita attraverso una elevazione progressiva verso la Divinità. 
Riflettiamo sui bisogni basilari che l'uomo ha oggi come ieri e sentiamoci uniti a quei nostri lontani progenitori in un comune senso di appartenenza al genere umano. 
Dimentichiamo la superbia che il mondo moderno ha erroneamento instillato in noi, riappropriamoci di quel senso di uomo/natura/divinità patrimonio delle genti antiche. Sediamoci al chiaro di luna all'interno di un cerchio di pietre e cerchiamo di sentire dentro di noi la fatica e la sofferenza provata da chi li costruì, i canti di gioia durante la celebrazione dei riti propiziatori agresti, le nenie funebri accanto alle pire ardenti. 
Alziamo lo sguardo al cielo e rendiamoci conto che è lo stesso di allora, immutabile nella sua profondità e nella sua ciclicità e perdiamoci in esso, in quel senso di eterna continuità della vita che solo i luoghi sacri sono in grado di far percepire.

 

Nota: una prima stesura di questo articolo è stata pubblicata sulla rivista Clypeus n. 106 – novembre 1998.


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