Roberto D’Amico
La Scozia è una terra piena di storia. Cerchi di pietre, villaggi neolitici fortificati e castelli di varie
epoche, sono ovunque ad attenderti immersi in un paesaggio affascinante e
selvaggio.
Non molti sanno, tuttavia, che vi si
possono anche trovare dei reperti
archeologici unici nel loro genere, che non hanno uguali in alcun altro luogo
del mondo.
Conosciuti con il semplice nome di "sculptured stones",
pietre scolpite, essi rappresentano una vera ghiottoneria per gli appassionati
di simbolismo e costellano quello che un tempo fu il territorio abitato dalle
genti note con il nome collettivo di Pitti.
È in un panegirico del 297 d.C.,
del retore gallo di nome Eumenio, che è contenuta la menzione più antica dei
Pitti. Egli, infatti, li cita associandoli agli Irlandesi come nemici dei
Britanni.
Il nome con cui sono conosciuti ("Picts" in inglese) è derivato dal latino "pictus" (dipinto), appellativo
con il quale i Romani li soprannominarono a causa della loro abitudine
di pitturarsi o, come alcuni credono, di tatuarsi i corpi nudi.
Sono molte le leggende che sono state tramandate e si
sono alimentate nei corsi dei secoli su questo antico e poco conosciuto popolo.
Nell’anno 731, nella sua "Storia della Chiesa in Inghilterra”,
riprendendo una tradizione inventata e utilizzata ai suoi tempi come propaganda
politica dagli Scotti, il Venerabile Beda scrive che i Pitti, giunti in Irlanda
dalla lontana Scizia, chiesero della terra agli Scotti e questi li mandarono
allora a popolare il nord della Britannia. Siccome i Pitti erano giunti senza
donne, gli Scotti offrirono loro le loro figlie, a condizione però che avessero
continuato a scegliere il re secondo una discendenza matrilineare, con l'ovvio
fine di rendere sempre possibile una legittima ripresa del territorio...
Nel XII secolo, nella "Historia Norvegiae",
il poeta e storico islandese Snorri Sturlason descrive invece fantasiosamente i
Pitti come dei Pigmei che vagano il mattino e la sera, ma che a mezzogiorno
perdono la loro forza e sono costretti a nascondersi dentro a buche scavate nel
terreno. Si tratta ovviamente di una descrizione tipica della mitologia
medioevale, ma la leggenda dei piccoli Pitti dimoranti sotto terra sopravvisse
per molti secoli. La tradizione vuole, ad esempio, che i Vichinghi che per
primi giunsero a Rousay, nelle isole Orkney, non osassero sbarcarvi perché
avevano visto apparire sulle loro coste piccoli esseri, simili ad elfi o troll,
brandenti lance scintillanti. E ancora Sir Walter Scott credeva che le gallerie
dei villaggi di pietra preistorici, che ai suoi tempi si pensava erroneamente
fossero stati edificati dai Pitti, fossero strette e basse a causa delle
piccole dimensioni di quel popolo.
Se è vero che l’origine dei Pitti è avvolta dalle nebbie della storia, è altrettanto vero che oggi l’alone di mistero che li ha
circondati per tanti secoli si è in parte dileguato. È ormai assodato, ad
esempio, che essi non giunsero in queste terre dal mare, ma che furono invece i
diretti discendenti della popolazione autoctona occupante il territorio
scozzese sin dall' Età del Ferro. È altresì condivisa l’ipotesi che la loro cultura venne fortemente
influenzata, nel lungo lasso di tempo che intercorse tra il 4700 a.C. e il 500
a.C., dall'arrivo delle varie ondate migratorie di popolazioni indoeuropee,
iberiche e celtiche delle quali assimilarono credenze religiose e rituali
cerimoniali.
Tolomeo ne parla come di un insieme di
dodici tribù e anche Tacito scrive che alcune di quelle si erano unite contro l'esercito
di suo suocero Agricola nell'83 d.C.. Nel III secolo Cassius Dio menziona la
presenza nelle regioni scozzesi di due grosse tribù, i Caledonii e i Maeatae.
Anche da molte altre fonti classiche l'idea generale che se ne trae è che i
Pitti fossero internamente distinguibili in due grandi gruppi che, a partire
dalla metà del IV secolo, divennero noti con i nomi di Verturiones e
Dicalydones. Secondo una tradizione, ancora viva
nel IX secolo, il loro territorio sarebbe stato suddiviso in sette province
nominate dal nome dei sette figli del primo re e padre eponimo di quel popolo,
Cruittne (Cruitni era, infatti, il nome dei Pitti in Gaelico). In realtà non si
può dire molto di più. Non sappiamo neppure come i Pitti si chiamassero tra
loro e se riconoscessero l’idea di un nome unico o di uno stato unitario.
In termini storici i Pitti sono
considerati entità politico-sociale a partire dal tempo della spedizione di
Agricola. Sappiamo che erano stanziati al di sopra del Vallo di Antonino (circa
150 chilometri a nord del più famoso Vallo di Adriano), che non furono mai
assoggettati al dominio romano e che furono agricoltori, pescatori, allevatori
ma, soprattutto, guerrieri tenaci, valorosi e terribili.
Il loro regno raggiunse il suo apice
durante il VI secolo d.C., nello stesso periodo in cui nella Scozia occidentale
si installarono i Dal Riata, anche conosciuti come Scotti, provenienti dall'
Irlanda. Con gli Scotti, giunse anche in queste terre il Cristianesimo al quale
i Pitti progressivamente si convertirono.
Poi nel IX secolo d.C., la dinastia
dello scotto Kenneth mac Alpin prese il sopravvento, gettando le basi della
nascita della attuale nazione scozzese. Il territorio, un tempo dei Pitti
assunse il nome di "Alba", nome con cui ancora oggi in gaelico
si chiama la Scozia e che venne nei secoli successivi esteso a tutta l'isola
britannica, come Alban o Albion. I Pitti finirono per essere gradualmente inglobati dalle popolazioni gaeliche e di loro non rimase traccia.
Fu solamente a partire dal XVI secolo
che l' interesse degli studiosi iniziò a risevegliarsi nei confronti dei Pitti, per merito di
John White, divenuto famoso per i suoi disegni di indiani completamente
ricoperti di tatuaggi da lui incontrati partecipando alle spedizioni di Sir
Walter Raleigh nel Nuovo Mondo. White pensò di aver trovato la prova
tangibile che quanto si raccontava dei Pitti potesse corrispondere alla realtà
e ipotizzò un parallelo tra l'usanza dei "nobili selvaggi delle
Americhe" e quella degli antichi abitanti della Scozia. La sua teoria
scatenò l’interesse sia della gente comune che del mondo scientifico inglese ed
i Pitti divennero argomento da discussione e di studio.
Molte furono le ipotesi e le dotte
diatribe tra le varie correnti di pensiero, poi finalmente, nel XIX secolo,
dalla pura speculazione si iniziò a considerare la questione in termini storici.
Nel 1819 che vicino al
villaggio scozzese di Fife fu scoperto un piccolo tesoro. Questo, sebbene non
fosse subito attribuito ai Pitti, conteneva alcuni gioielli che portavano incisi
delle figure identiche a quelle che erano state scoperte su alcune pietre
erette scolpite, presenti qua e là in tutta la Scozia. L'accurata fattura degli oggetti su cui i simboli furono incisi, come il bellissimo e prezioso "torque" in argento massiccio, destò scalpore e
diversi ricercatori iniziarono a volgere la loro attenzione verso quelle pietre
sino allora ignorate e alle loro misteriose ed enigmatiche figure simboliche.
In due volumi pubblicati da John
Stewart nel 1856 e 1857 intitolati "The Sculptured Stones of Scotland"
(Le Pietre Scolpite della Scozia), la connessione tra pietre, simboli e Pitti
venne infine definitivamente e ufficialmente consacrata.
L' interesse sulle pietre scolpite si
diffuse rapidamente e le segnalazioni e le scoperte di nuovi reperti si
susseguirono numerose e continuarono incessantemente negli anni seguenti.
Nel 1903, nella loro monumentale
opera "Early Christian Monument of Scotland" (Primitivi monumenti
cristiani di Scozia) Romilly Allen e Joseph Anderson le raggrupparono e
catalogarono tutte. Per la prima volta le pietre furono
suddivise in tre classi che le ponevano in ordine cronologico:
Classe I: pietre grezze con incise solamente
le enigmnatiche figure simboliche Pitte;
Classe II: pietre squadrate e
decorate, su un lato, ancora con quei simboli accompagnati però da altre figure
e, sull’altro lato, da una croce;
Classe III: pietre squadrate che non
avevano più i simboli orginali ma solo figure e croci in rilievo.
Le pietre scolpite delle prime due
classi sono fatte risalire al VI e VII secolo d.C.
A supporto di tale datazione vi sono nove pietre che contengono, accanto ai
simboli, scritte in caratteri dell'alfabeto Ogham (rimaste per lo più
indecifrate) che si sa essere stato in uso tra i Pitti proprio in quei secoli.
Le pietre della Classe III
appartengono invece al periodo 790-840 d.C. e rappresentano ovviamente il
suggello del definitivo trionfo del Cristianesimo sulle preesistenti religioni
pagane.
Le quasi 300 pietre erette, di varie dimensioni e fattura, che tuttora
rimangono a marcare quella che fu l’area dell’antico regno dei Pitti, sono
l'unica traccia tangibile, per quanto enigmatica, del loro passaggio storico.
Pur tenendo conto di quante se ne saranno sicuramente perse nel corso dei secoli, esse
sono in ogni modo sufficienti per farci capire quanto queste dovettero essere
diffuse nel periodo della loro massima espansione.
La maggioranza delle pietre più
rappresentative è ovviamente conservata nei vari musei; molte sono sistemate
all' interno o all'esterno di chiese o dei cimiteri a loro adiacenti, dove
furono trasferite in alcuni casi sin dal lontano medioevo. Ve ne sono però
diverse rimaste nei luoghi originali (talvolta ingabbiate nel plexiglas per
proteggerle dall'inclemente clima scozzese) e conservano ancora tutta la magica
energia infusa loro dagli antichi artefici. Nel guardarle non si può non essere
portati a sentire una stupita ammirazione di fronte ad opere d' arte di cui ci
sfuggono significato e valore.
La cosa che più sorprende è lo
scoprire come molte di queste pietre siano state conservate per oltre un
millennio nel bel mezzo di campi coltivati o al centro di paesi, a chiara dimostrazione del rispetto
che venne loro portato dalle popolazioni locali e, del minore effetto
devastante che in queste zone ebbe l' avvento del cristianesimo rispetto ad
altre aree europee.
La peculiarità che distingue le pietre Pitte da ogni altro reperto archeologico megalitico europeo
sta nell'enigma racchiuso nei simboli che le decorano.
Si tratta in tutto di poco più di una
quarantina di figure, ripetute in modo identico, sempre in coppia ma in
composizioni diverse tra loro, che possono essere suddivise in tre grandi
categorie: figure animali, figure geometriche e di cose ed oggetti di uso quotidiano.
Quasi certamente i disegni animali
sono associabili agli antichi simboli totemici delle tribù.
Il toro, il cinghiale, il cavallo, il
serpente, l' aquila, il cervo, il lupo, ad esempio, occupano una posizione
preminente nella mitologia e nella simbologia celtica e, dunque, tale ipotesi
appare oltremodo credibile. Ricordiamo ad esempio che il
cinghiale era il simbolo del Potere Spirituale per eccellenza e allo stesso
tempo della forza necessaria per la battaglia, mentre il cervo era simbolo
solare di prosperità e fertilità. Il serpente rappresentava il duplice potere
racchiuso nelle viscere della Madre Terra e racchiudeva dunque tanto poteri
taumaturgici che venefici. L'aquila ed il cavallo erano altre rappresentazioni
della divinità solare, così come il toro, emblema di forza e fertilità. Altri
animali non hanno riscontro in aree più meridionali e sono probabilmente
connessi a divinità totemiche prettamente locali, quali il salmone e la foca.
Vi è poi una figura animale che non si è riusciti a identificare.
Definita come l'“Elefante che
nuota" o, più genericamente, la "Bestia dei Pitti", essa è stata interpretata come un delfino o un ippocampo ma, in realtà, è forse solo parte di quel bestiario fantastico tipico di cui
esistono tracce in ogni parte del mondo antico. È certo, però, che trattandosi
del territorio scozzese comprendente il Loch Ness, è sorto spontaneo e immediato
un possibile collegamento con il suo famoso e altrettanto misterioso abitatore.
Per la seconda serie di simboli l'interpretazione è più difficile, anche se si possono riconoscere noti
simbolismi legati al Sole, alla Luna, al dualismo cosmico e al sacro ternario
druidico, che tendono ancora una volta a riportarci alle credenze religiose del
mondo celtico, e figure di oggetti noti come l'ascia (simbolo di potere
regale), il bastone sacerdotale, lo specchio e il pettine associati ( mondo sciamanico?)
e vari attrezzi di lavoro.
Enigma tra gli enigmi rimane il
significato della freccia spezzata in due o tre parti spesso sovrapposta ad
altre figure. La freccia spezzata in due, rappresentata a forma di
"V", e sovrapposta alla falce lunare è presente nel 75% di tutte le coppie,
mentre quella spezzata in tre parti, a forma di "Z", è sovrapposta a
figure diverse (animali e non) e nel 40% delle coppie compare insieme al doppio
disco.
Forse simili rappresentazioni erano
associate alla pratica rituale tipica delle popolazioni nord europee di
spezzare l'arma del capo prima della sua tumulazione in modo da trasferirne il
potere nell'aldilà. Le frecce spezzate potrebbero attribuire in tal modo al
simbolo cui sono sovrapposte il significato di morte e starebbero, dunque, a
raffigurare gli antenati, il cui potere avrebbe avuto potuto essere evocato, se
necessario, per aiutare e proteggere la discendenza.
A proposito del modo in cui i simboli
furono riprodotti vale la pena di evidenziare un particolare solo
apparentemente poco significativo: i simboli mantengono comunemente le medesime
misure e proporzioni, il che fa presupporre che gli artisti incaricati del
lavoro ricopiassero modelli trasportabili. Al pari
dei Maestri Costruttori medioevali, essi dovevano probabilmente appartenere ad
una casta importante, proprio perchè detentrice del segreto dei simboli e del
loro potere magico-religioso.
Molte sono state sino ad oggi le
interpretazioni avanzate dagli studiosi a proposito di questo appassionante
enigma archeologico.
È indubbio che, in termini generali,
i Pitti abbiamo derivato l'uso di pietre erette dalle precedenti culture
megalitiche di cui erano (e sono tuttora) rimaste abbondanti tracce nelle loro
terre. In alcuni casi è provato che essi incisero i loro simboli proprio su
preesistenti menhir preistorici, cercando probabilmente in tal modo di
appropriarsi della sacralità dei luoghi antichi.
È stato in alcuni casi provato che le
pietre, soprattutto quelle della Classe I, furono erette come monumenti
funerari, ma il fatto di aver trovato gli stessi simboli anche su oggetti
ornamentali e di vario tipo non permette di associarle esclusivamente ad un
tale uso.
Inoltre, è stato notato che la
stragrande maggioranza delle pietre sorge in prossimità di corsi d'acqua o del
mare. Questo fatto è stato associato alla distribuzione della popolazione che
tendeva a formare insediamenti in zone maggiormente adatte alla sopravvivenza e alle comunicazioni. Non dobbiamo comunque dimenticare che gli dei
dell'acqua avevano un posto importante e fondamentale nelle credenze religiose
di tutti i popoli e questa vicinanza potrebbe anche essere collegata alla
celebrazione di riti a loro collegati. Ricordiamo, ad esempio, che l'annegamento rituale dei prigionieri di stirpe reale era usato diffusamente
tanto nella terra dei Pitti, quanto in Irlanda e in Gallia.
A favore di questa ipotesi vi è la
presenza di simboli Pitti nella grotta scozzese di Covesea (Moray). Qui, nel 1903, accanto al luogo in cui sorgeva il forte pittico di Burghead, furono scoperte in mare una trentina di piccole pietre scolpite con figure di buoi e tori. Gli studiosi non hanno dubbi nel ritenere che tali pietre siano state deliberatamente gettate in mare come offerta alla divinità guardiana dell'acqua, forse per riceverne in cambio maggiore fertilità per il bestiame o per il villaggio. Tale pratica era assai comune tra i popoli dell'Età del Ferro, inclusi i Celti, che la praticavano in pozzi, laghi, fiumi e mari.
La teoria più accreditata rimane
comunque quella che le pietre fossero usate per segnalare alleanze tra tribù
attraverso matrimoni fra i figli dei diversi capi clan, i cui simboli erano
visivamente accoppiati per celebrare e rendere palese l'accordo e forse, allo
stesso tempo, per marcare i confini del territorio da loro controllato.
Questa ipotesi sembra essere
suffragata dal fatto che, come pare ormai provato, la maggior parte delle
pietre fu eretta e scolpita in un brevissimo lasso di tempo, intorno al VII
secolo. Il che fra presupporre che esse facessero parte di un complesso piano
politico messo in atto da un sovrano molto forte e che avessero lo scopo di
testimoniare la fedeltà dei vari clan al suo potere.
In quel secolo, in effetti, i Pitti
furono governati da quello che si ritiene sia stato il loro più grande re,
Bridei, il quale, secondo l'antica pratica del “Patto di Sangue”, per
garantirsi le alleanze utilizzò matrimoni combinati tra elementi della sua
famiglia e di altri notabili del regno.
Su molte pietre della Classe II e
III, vi sono rappresentazioni di guerrieri armati a piedi e a cavallo e di
gente comune con il tipico cappuccio, scene di battaglia, di caccia, di vita
quotidiana, di sacrifici umani, di navi e animali fantastici. È presumibile che in questi casi ci si trovi di fronte a monumenti celebrativi di un qualche evento particolarmente importante, in ogni caso sono l'unica
testimonianza diretta rimasta di quel popolo, dei suoi costumi, delle armi e
degli attrezzi che usavano.
Una delle prime teorie avanzate a
proposito dei misteriosi segni li vorrebbe derivati dalle pitture o dai
tatuaggi con cui si dice i Pitti si decorassero il corpo. Lo studio dei disegni
mostra che si tratta di segni chiaramente bidimensionali e questo sembrerebbe
supportare tale ipotesi. Essi potrebbero tuttavia essere nati come decorazioni
personali, anche se non necessariamente in forma di tatuaggi o pitture, e
successivamente trasferiti su vestiti, oggetti e pietre.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato che i simboli potessero essere una specie di alfabeto geroglifico e che potrebbero
dunque rappresentare i componenti stessi di nomi propri. Per quanto
affascinante, questa ipotesi sembra non essere avvalorata da quanto è noto dei
nomi personali pittici, difficilmente riconducibili alla combinazione di un
numero così limitato di sillabe.
Altri ricercatori hanno invece
tentato di individuare nei simboli animali l'indicazione della tribù di
appartenenza e in quelli geometrici o astratti la famiglia, lo stato sociale o
la professione. Anche questa teoria, per quanto affascinante, non trova
riscontro alla prova concreta dei fatti.
La teoria che
raccoglie maggiori consensi è quella che li vede come una testimonianza di
discendenza, indicante la combinazione delle differenti case nobiliari
attraverso matrimoni reali. L'associazione tra famiglie, che denota un'elite e
credenze religiose, era in quei tempi assai praticata e in un'aristocrazia
guerriera come quella dei Pitti il ruolo sacro del re era riconosciuto da
tutti. I simboli avevano, come in ogni altra parte del mondo, il compito di
rappresentare fisicamente agli occhi del popolo la presenza del loro sovrano che, quale mediatore tra uomini e divinità, aveva il compito e la
capacità di proteggere e dispensare fertilità e ricchezza; erano segni di potere
politico e religioso e, come consuetudine presso ogni antica
comunità, permeati di magia.
La credenza in un potere magico
associato a quei simboli sopravvisse a lungo, anche dopo la scomparsa dei Pitti, ed è indubbio che in molti casi fu proprio grazie a ciò che molte delle pietre sopravvissero alla
distruzione.
Una variante dell'ipotesi precedente
si riallaccia alla tradizione che attribuisce ai Pitti una società a
discendenza matrilineare e, partendo dal
fatto che in un tale tipo di società gli incroci sono complessi e le differenti
discendenze sono spesso associate in quartine secondo il sistema di matrimonio
incrociato fra cugini, vede nella combinazione delle coppie di simboli un modo per illustrare le linee di discendenza.
Se ciò fosse vero la distribuzione
dei simboli dovrebbe permettere di ricostruire le aree popolate dalle diverse
famiglie. Purtroppo, però, la distribuzione dei simboli sembra essere generalmente casuale.
L'affascinante enigma permane.
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