In Val di Susa sulle tracce del paladino Orlando
Roberto D’Amico
Uno di questi retaggi del passato si trova in
Val di Susa ad una quarantina di chilometri da Torino, meno di cinquanta minuti
di macchina, poco dopo i paesi di Villar Focchiardo e Borgone.
A breve distanza dal ponte della Giaconera,
a poco più di cinquecento metri dalla Statale 24, si trova “Cascina Roland”, un
grosso, articolato e austero complesso medievale, che ospita un centro
turistico-alberghiero e un ristorante.
Si pensa che la prima struttura risalga all’XI secolo quando il territorio di Villar Focchiardo apparteneva alla chiesa di San Giusto di Susa. Nei secoli XII e XIII fu possedimento dei Visconti di Baratonia A questi seguirono i nobili Bertrandi, che furono probabilmente i principali artefici delle opere di rinforzo e delle sopraelevazioni del coronamento merlato. Furono verosimilmente sempre loro a creare il ricco edificio residenziale sul lato nord con le sue due bellissime finestre archiacute con corniciature decorate in cotto, ancora protette da robuste inferriate.
Lasciata l’auto nel parcheggio, mi dirigo a passo svelto verso l’oggetto della mia ricerca. L’avevo visto moltissimi anni fa, ma non ricordo più dove si trova. Poi, l’atmosfera intorno a me inizia a farsi magica. Le merlature, la facciata con le finestre a sesto acuto mi danno un senso di antico. Sento come un brivido lungo la schiena, forse anche perché il luogo sembra disabitato. Il mio sguardo fino ad ora allenato ad una ricerca molto razionale si accende di entusiasmo quando incontra il masso che sto cercando, che sembra caduto lì per caso.
Vengo così trascinato dalla mia fantasia più sfrenata in un
“portale spazio-temporale” che all’improvviso mi permette di compiere un salto
nel passato. Un passato colmo di vita, guerre, sofferenze e amori, povertà e
ricchezza, devozione e superstizione, dove fantasia e realtà si sono spesso
mescolati formando un’inestricabile matassa che noi moderni riusciamo con
difficoltà a districare.
La pietra è un masso a forma
di mandorla, di modeste dimensioni (circa 1,50 x 60 cm) che, se non se ne
conosce l’esistenza, probabilmente non verrebbe neppure notata inserita com’è
tra un masso molto più grande, che ricorda il dorso di un drago
addormentato, e il muro del palazzo.
A guardarlo, al massimo si potrebbe rimanere stupiti dalla sua insolita
particolarità: una singolare spaccatura, a guisa di taglio netto, in mezzeria. Nessuno immaginerebbe mai che la sua storia
sia una delle più famose della Valle di Susa e che addirittura travalica le
Alpi.
È conosciuto come Masso di Orlando o Masso
di Rolando” da cui è derivato lo stesso nome della Cascina, perché si
tramanda che a tagliarlo in questo modo sia stato, in un momento di furia, proprio
lui, il più celebrato dei cavalieri carolingi con la sua altrettanto famosa
spada, la Durlindana. Questa spada era magica e benedetta, perché si diceva
contenesse nell’elsa e/o nel fodero un dente di San Pietro, del sangue di San
Basilio, alcuni capelli di San Dionigi ed un lembo della veste della Vergine.
Nipote di Carlo Magno, marchese di Bretagna, Orlando
fu il prototipo immortale dei cavalieri erranti. Eternato per la prima volta
nella Chanson de Roland di un anonimo dell’XI secolo, venne descritto
come dotato di “un’indomabile fermezza d’animo e un’invitta vigoria di
braccio”.
È un personaggio che è entrato a far parte di
molte leggende e che è stato cantato per secoli da innumerevoli autori; in
Italia è l’eroe del Morgante del Pulci, dell’Orlando Innamorato
del Boiardo e del più noto Orlando furioso di Ludovico Ariosto.
Nella Chanson de Roland il paladino,
prima di morire a Roncisvalle nel 778, tenta invano di spezzare la spada su una
roccia per non farla cadere in mano nemica, ma come troviamo riportato nella “Storia
di Carlo Magno e di Orlando”, del XII secolo: “… per tre volte colpì con
la sua spada, cercando di spezzarla, il grande masso di roccia. Che più? Si
spezzò la roccia in due parti…” Il mito dice che fu così che egli creò la Breccia
di Orlando, Brèche de Roland, una gigantesca spaccatura
naturale, larga 40 metri e alta 100, nei Pirenei.
Niente a che vedere con il nostro piccolo masso
valsusino, ma è giusto notare che l’associazione
di Orlando con una roccia spezzata è parte integrante del mito a lui associato.
Secondo un’altra tradizione, trasmessa oralmente ben
prima dei testi scritti, il cavaliere morente, vedendo che non riusciva a spezzare la spada, chiese all’Arcangelo Michele
di dargli forza e quindi scagliò la Durlindana con un ultimo gande sforzo. La
spada arrivò sino a Rocamadour, un villaggio della Francia Occitana, a 360
chilometri di distanza (!!), dove ancora oggi la si può vedere conficcata in
una parete rocciosa. È evidente l’associazione simbolica Orlando/Durlindana e
Artù/Excalibur. E forse non è un caso
che egli si sia rivolto a San Michele che, durante la sua lotta con Lucifero,
con un fendente della sua spada aveva creato una spaccatura nel terreno che
correva tra l’Irlanda e la Palestina, la cosiddetta Linea Sacra, lungo la quale
sono state edificate le più grandi chiese a lui dedicate.
Tuttavia, sono in molti a ritenere che a far nascere la leggenda del masso di Borgone giocò un ruolo decisivo il taglio della roccia cantato nei versi dell’Ariosto che raccontano il furore di Orlando per la perdita dell’amata Angelica:
Veder l’ingiuria sua scritta nel monte
l’accese sí, ch’in lui non restò dramma
che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
né piú indugiò, che trasse il brando fuore.
Tagliò lo scritto
e ’l sasso, e sin al cielo
a volo alzar fe’ le minute schegge.
Infelice quell’antro, et ogni stelo
in cui Medoro e Angelica si legge!
(Orlando Furioso XXIII 129/130)
Il
medievalista Giancarlo Chiarle, nel suo mirabile studio “In itinere Sancti
Iacobi”: la pietra di Rolando e la Giaconera” (Segusium - Ricerche e Studi
- Anno XLI - Vol. 43 - 2004) ha ricostruito con storica precisione l’evoluzione
della leggenda del masso di Orlando.
Tramite
approfondite ricerche, il Chiarle ha evidenziato come le cronache dei viaggiatori che fanno riferimento alla
Pera ’d Roland, che trovandosi sull’antica Via di Francia era da sempre
luogo di grande passaggio, siano iniziate nel periodo compreso tra il XVI e il
XVII secolo.
“Il primo a parlarne – egli scrive - è, nel
1577, l’ambasciatore veneto Gerolamo Lippomano, che annota nel suo diario di
viaggio: “Sant’Ivorio [per S. Giorio], castello poco abitato, dove si vede
sopra la strada, una taverna nella quale è dipinto un Orlando, con una gran
pietra, ch’è al basso nel sentiero, lunga tro palmi per ogni quadro, fessa nel
mezzo, e dicono li paesani idioti ch’egli la tagliò con la spada”. Nel 1643
tocca all’abate fiorentino Giovanni Rucellai, giunto all’Osteria della Posta, a
otto (sic) miglia da Torino, vedere “il favoloso sasso partito nel mezzo,
come raccontano, da Orlando paladino, volendo egli provare la sua spada, sendo
questi un gran pietrone diviso per il mezzo, come se da spada veramente
tagliato fussi”.”
Grazie
all’arcivescovo di Zara, Andrea Minucci, che nel 1549 aveva avuto occasione di
vedere la Cascina Roland durante un viaggio da Varsavia a Parigi, veniamo a
sapere che sulla porta d’ingresso di detta cascina erano un tempo dipinte una
Madonna e un’insegna gentilizia dei conti di Villar Focchiardo. Curiosamente,
però, il Minucci non fa nessuna menzione del singolare masso. È, dunque, lecito supporre che in quel periodo
quella pietra non avesse ancora raggiunto la sua notorietà.
In ogni caso, tornando alle antiche cronache di viaggio, parrebbe che la tradizione che ha indelebilmente legato quella pietra al celebre paladino sia nata tra il 1549, visita di Minucci, e il 1577, visita di Lippomano. Non a torto il Chiarle fa notare che la diffusione e il successo popolare dell’Orando furioso avvenne proprio in quegli anni, il che fa davvero pensare che il nome sia stato assegnato a seguito della fama popolare decretata al paladino dall’Ariosto.
Lo
stesso illustre studioso ha messo in evidenza come sin dal 1200 fosse nota in
quella stessa zona una pera tajà, una pietra tagliata, e ha dunque ipotizzato
un progressivo trasferimento a quella pietra del nome legato all’eroe
principale delle storie dei carolingi a seguito del successo del poema
ariostesco.
La
leggenda è permeata probabilmente anche dal ricordo di fatti reali, rimasti
impressi nel folclore locale. Carlo
Magno e i suoi paladini, infatti, in questa zona c’erano davvero passati. Nel
773, nella strettoia di Chiusa San Michele, a pochi chilometri dal nostro
masso, Carlo Magno, sceso in Italia col suo esercito dietro richiesta del
pontefice Adriano I, inflisse una dura e memorabile sconfitta ai Longobardi. È
alquanto probabile che la memoria di quegli avvenimenti abbia anch’essa
contribuito a generare il mito.
Il
tempo è trascorso in fretta. Lascio
Cascina Roland.
Risalendo
in auto, le immagini di Orlando e la sua Durlindana mi sono rimaste impresse
nella mente.
Quante
cose è stato capace di suscitare in me quel piccolo e, per i più,
insignificante masso spezzato!
Non
avrei mai voluto sapere che la verità è molto meno suggestiva della leggenda,
perché, in realtà, in questa storia vi è un solo “sommo artefice”: la Natura.
Questa
pietra, infatti, non è altro se non uno dei tanti massi erratici presenti nella
Val di Susa, un tempo letto di un enorme ghiacciaio che è anche l’unico possibile
vero responsabile di questa frattura bizzarra.
Nota: articolo pubblicato su Civico20 la Rivista Online di Torino il 18 giugno 2024
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