“Monsù Pingon” e il mito della Torino egizia

                                                  Roberto D’Amico

 

Un mio amico lombardo venuto recentemente a trovarmi mi ha chiesto come mai all’arrivo dell’autostrada da Milano una grande Sfinge accoglie i viaggiatori e, testualmente, mi ha detto “ma allora è vero che Torino è stata fondata dagli Egizi?”. Sono rimasto molto sorpreso nello scoprire che quella antica leggenda fosse così conosciuta. Ovviamente gli ho spiegato che si trattava di una copia a grandezza naturale, realizzata in occasione delle Olimpiadi del 2006, della statua della XX dinastia conservata al Museo Egizio di Torino… ma la sua domanda mi ha fatto riflettere e spinto a scrivere questo breve articolo. 

 

La ricostruzione storica della civilizzazione del Piemonte parte dal IV secolo a.C. quando una popolazione di stirpe celtica attraversò le Alpi e si insediò alla confluenza fra il Po e la Dora, miscelandosi in modo probabilmente incruento con le preesistenti popolazioni Liguri giunte sin qui secoli prima risalendo dalla Liguria che da loro deriva il nome.

A loro si deve la fondazione della primitiva Torino, di cui Tito Livio e Polibio attestano l’esistenza come “civitas Taurasia”. Secondo Virgilio l’emblema della città derivò dall'assonanza linguistica del latino Taurus, toro, con il celtico Taur o Thor che significava “monte”. La scoperta nel 1965 di un elmo etrusco proprio alla confluenza dei nostri due fiumi ha fatto pensare anche ad una preesistente presenza etrusca, forse una colonia commerciale.

Taurasia venne completamente distrutta nel 218 a.C. dall'esercito di Annibale e solo duecento anni più tardi la città ritornò alla ribalta della storia nella sua nuova veste romana di Augusta Taurinorum, la cui fondazione viene oggi fissata al 9 a.C..

La nascita di Torino è, però, legata a fantasiose tradizioni mitologiche.

Una di queste assegna il merito della fondazione della città al principe egizio Eridano che, giunto via mare a capo di una spedizione di coloni, sarebbe sbarcato in Liguria: Spintosi nella pianura piemontese, dove il Po si unisce alla Dora, decise di edificare una città che da lui prese il nome di Eridania, consacrandola al toro sacro venerato nella sua patria d’origine. Secondo altri, Eridano sarebbe invece arrivato coi suoi nel delta del Po e avrebbe risalito il grande fiume, che gli ricordò il Nilo, sino a giungere nelle nostre terre.

Un’altra tradizione associa, invece, il nome del fiume Po alla caduta di Fetonte/Eridano, figlio del Sole, il quale, impadronitosi imprudentemente del cocchio alato del padre, sarebbe precipitato proprio qui, nei pressi dell’odierna Torino, dando il nome al nostro fiume.

SI tratta palesemente di storie che nulla hanno di storico, ma fa stupire il che abbiano continuato ad essere tramandate.  In effetti, la grande risonanza avuta da queste fantasiose ricostruzioni non è stata per nulla casuale ed è legata alla figura del barone Philibert Pingon, italianizzato come Filiberto Pingone ma conosciuto dai torinesi come Monsù Pingon.

Fu, infatti, nella sua opera “Augusta Taurinorum” (1577) che per la prima volta in modo ufficiale la fondazione di Torino venne associata al principe egizio Eridano, ponendone la fondazione nel 1529 a.C.   

La sua non fu la scelta di uno studioso di storia antica. Egli utilizzò, infatti, artatamente il mito della fondazione egizia di Torino per soddisfare le esigenze politiche e propagandistiche del duca Emanuele Filiberto, che aveva assoluto bisogno, anche a costo di una mistificazione storica, di nobilitare la città che aveva scelto di far diventare la capitale degli stati Sabaudi e legittimare la nascente casata Savoia, legando entrambi ad una discendenza dall’aura mitologica.

A Monsù Pingon venne dunque affidato il compito di elaborare una teoria in grado di consacrare l’insediamento della corte a Torino, che a quei tempi altro non era che un piccolo borgo fortificato abitato da circa 20.000 abitanti, assai inferiore, ad esempio, rispetto a Chieri o Vercelli, facendola apparire agli occhi dei regnanti europei degna di divenire la capitale degli Stati Sabaudi.

Savoiardo, discendente per parte di padre d’una famiglia di Aix-en-Provence, il Pingone era avvocato, letterato, antiquario, raccoglitore di cimeli, studioso di vestigia del passato, insomma un uomo di sterminata cultura. Amico del duca. non perse tempo a trasferirsi da Chambery a Torino per seguire la corte. Il palazzo, fra i più antichi della città, all'angolo tra via Porta Palatina e via della Basilica, dove si dice egli andò ad abitare, conserva ancora il nome di Casa del Pingone.

In realtà, il Pingone non inventò nulla, ma ebbe la grande abilità di miscelare sapientemente tra loro tradizioni e studi antecedenti. Attinse molto, ad esempio, dall’opera di Giovanni da Viterbo, più noto come Annio, che acquistò credito presso la corte pontificia procurando alla famiglia Borgia, cui apparteneva Papa Alessandro VI, un capostipite mitico, l’Ercole egizio figlio di Osiride. Per questo motivo il bue araldico che compare nel blasone familiare è ritenuto essere una rappresentazione dell’egizio Api.

Nel 1489, Annio, che tra l’altro si spacciava come decifratore della lingua etrusca, pubblicò a Venezia un’opera falsamente attribuita a Beroso Caldeo, sacerdote del dio Marduk vissuto tra il VII e il III secolo a.C., da cui il Pingone trasse la maggior parte delle informazioni che, opportunamente riadattate, gli servirono per attribuire a Eridano il ruolo di fondatore mitico di Torino.

Un secondo filone cui Monsù Pingon attinse fu quello delle opere del piemontese Antonio Astesano (XV secolo) e del Maccaneo (XVI secolo), che avevano collegato il principe egizio Fetonte, figlio del Sole e di Iside alle vicende di Genuino, suo figlio, fondatore di Genova.  Il Maccaneo, rifacendosi ad un’iscrizione latina corrotta, localizzò addirittura il tumulo sepolcrale di Eridano “ultra Padum”, sulle sponde del Po, nei pressi della Gran Madre. 

Il mito generato da Pingone generò un tale entusiasmo che vari reperti archeologici dell’epoca vennero interpretati come prove irrefutabili dell’origine egizia di Torino.

Così fu, ad esempio, per un frammento di piedistallo con dedica ad Iside, ritrovato nel 1567 durante i lavori di sbancamento per la costruzione della Cittadella, per un’iscrizione, probabilmente rinvenuta ad Ivrea, ancora dedicata a “Iside Magna e Madre” e per una lastra marmorea con fregio a palmette, interpretata come parte dell’antico tempio di Iside. Tempio che taluni immaginarono nella zona della Cittadella, altri dove venne poi costruita la Gran Madre.

Monsù Pingon morì nel 1582. La sua lastra tombale è tuttora visibile nel Chiostro dei Morti, attiguo alla chiesa di san Domenico.

Con lui non morirono, tuttavia, le origini mitologiche di Torino che egli aveva “costruito”. Queste lasciarono una profonda impronta tanto nell’immaginario popolare quanto nel mondo letterario ed artistico. Fu a causa di quel profondo substrato culturale che a fine Settecento esplose una vera e propria egittomania, che nei palazzi torinesi raggiunse vette ineguagliate.

Sempre a lui,  cento anni dopo, si deve se, nell’“Historia dell’Augustissima Città di Torino”, trattato storico scritto da Emanuele Tesauro nel 1679, ma pubblicato postumo da Giovan Pietro Giroldi nel 1712 e completato trent’anni dopo da Francesco Maria di Lavriano, troviamo una stampa allegorica raffigurante il Re Eridano che, rivolto verso un monumento al dio-toro, tiene tra le mani la mappa della città ed è sovrastato da una scritta che gli attribuisce la fondazione di Torino sette secoli prima della fondazione di Roma.

Il mito vive ancora nel 1801, ai tempi di Napoleone, e sulle monete d’oro coniate per celebrare la vittoria di Marengo, la regione piemontese, annessa all’impero di Francia, viene menzionata con il toponimo di “Eridania”.

Infine, non fu un caso che Pelagio Palagi, l’architetto cui nel 1832 Carlo Alberto assegnò i progetti di ampliamento del Castello di Racconigi e ammodernamento di Palazzo Reale, scelse la figura della foglia di palma del presunto Isideo torinese come motivo ornamentale base in tutte le sue opere tanto da farla divenire una sua firma, un segno di riconoscimento e, per estensione, anche uno dei simboli distintivi di Casa Savoia.

L’opera del Pingone lasciò, tuttavia, un retaggio ancora più importante dando il via alle spedizioni archeologiche che nel tempo portarono Torino ad avere il Museo Egizio per il quale la città è oggi rinomata in tutto il mondo.

    

Nota: articolo pubblicato su Civico20 la Rivista Online di Torino l'11 maggio 2024

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