L'imponente e ignorato altare megalitico di Susa
Roberto D'Amico
Ci sono delle testimonianze del nostro antico passato che sono davanti agli occhi di tutti e ciononostante restano completamente ignorate dall'informazione, dalle pagine Web di archeologia, se non più che specializzate, e dalle proposte turistiche.
È questo il caso dell'incredibile e stupefacente altare megalitico di Susa, in provincia di Torino, dove è possibile ammirare un enorme masso coppellato che doveva essere sacro ancora prima che i Cozii arrivassero in quelle terre.
Doveva essere, comunque, ancora ritenuto importante e tenuto in gran rispetto dalle popolazioni celto-liguri se i Romani pensarono bene di fargli passare sopra l'acquedotto, proprio prima di entrare entro le mura della città, e, non contenti, ne asportarono una buona parte, che tagliata in blocchi usarono come materiale di cava per la costruzione di parte dei due piloni che ne ricoprono un'altra buona porzione, come ben visibile da ciò che ne rimane.
Nella fotografia sottostante con una linea gialla ho evidenziato come doveva essere la forma e la dimensione dell'altare megalitico.
Eppure, nonostante tutto questo scempio dissacratore, ciò che rimane è ugualmente in grado di farci comprendere la sua originale grandezza. Il grande masso era completamente ricoperto da grosse coppelle e comprendeva anche molti canali di scolo che spingono l'immaginazione a pensare agli antichi riti propiziatori, anche cruenti, che su di esso venivano compiuti.
Proprio alla base dello stesso masso, definito popolarmento come "ara druidica" o "altare sacrificale druidico" e, a quanto si dice, scoperto casualmente nel 1947 al di sotto di una spessa coltre erbosa, si apre un pozzo cerimoniale, che ne aggiunge valore e importanza.
Il complesso viene fatto risalire all'Età del Ferro.
A poca distanza dall'ara venne eretto l'Arco di Augusto, costruito però, a differenza degli altri archi romani, da re Cozio stesso con le sue maestranze. La sua posizione non fu, forse, scelta a caso e potrebbere essere stato un modo per mantenere vivo il ricordo e il significato di quell'antica pietra sacra.
Tra i vari contributi scientifici, mi ha particolarmente colpito quanto scrive in proposito Sandro Caranzano, nel suo interesantissimo studio "L’arco
di Augusto di Susa. Architettura, urbanistica e segni visuali nella propaganda augustea" (ATTI E RASSEGNA TECNICA DELLA SOCIETÀ DEGLI INGEGNERI E DEGLI ARCHITETTI IN TORINO ANNO 152 LXXIII -n.1 Aprile 2019).
"Le rilevazioni archeometriche - egli scrive - hanno permesso di chiarire un
fatto piuttosto interessante: tracciando una linea orizzontale (ad altezza d’uomo) dal ripiano sacrificale si intercetta, in
perfetto allineamento, il margine inferiore del fregio dell’arco
di Augusto sul quale è rappresentata proprio la scena del sacrificio. Abbiamo accennato al fatto che la cornice inferiore del
fregio coincide – nel contesto della progettazione geometrica dell’arco – con la sommità del quadrato di base ospitante
il fornice. È plausibile che una così precisa corrispondenza
geometrica e altimetrica sottintenda una intenzionalità.
Altrettanto curiosa è la corrispondenza visuale tra l’ara sacrificale e la scena di sacrificio. Ci troviamo qui di fronte a
una unità tematica che doveva apparire lampante, anche in
ragione della relativa vicinanza dell’arco all’ara.
Se consideriamo l’arco onorario come diaframma tra l’area
di pertinenza dei civites e l’acropoli occupata dalla domus del
prefetto celtico, si può proporre che un altare indigeno preesistente sia stato volutamente rispettato (e forse ampliato)
allo scopo di sottolineare il sincretismo tra le deità indigene
e quelle romane, in un’ottica di fusione e integrazione tra i
vecchi regni alpini e il dominio romano."
Se davvero così fosse, sarebbe stata una gran bella rivincita dei Cozi sui Romani!
Per gli appassionati, ecco il link per lo studio di Sandro Caranzano:
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