L’incredibile origine degli animali delle fiabe

Roberto D'Amico

Gli animali delle fiabe sono semplice frutto della fantasia degli autori o sono stati ispirati da fantasiose creazioni precedenti? Vi sono molti elementi che sembrano far propendere per quest’ultima ipotesi.
Prendiamo, per esempio, i fantastici animali di “Alice nel Paese delle meraviglie” di Lewis Carroll, pseudonimo usato dal controverso personaggio Reverendo Charles Lutwidge Dodgson: lo Stregatto (“Cheshire Puss” nella versione inglese originale) e il Coniglio Bianco, o Bianconiglio?
Ci sono moltissimi indizi che sembrano indicare che si tratti effettivamente di personaggi leggendari o popolari creati molti secoli prima.
Il fantastico personaggio del "gatto dello Cheshire", è una delle creature più strane e inquietanti: irriverente, dal sorriso a trentadue denti e in grado di sparire e riapparire a suo piacimento, lasciando solo visibile la larga bocca dentata. Similmente al nostrano "Gatto Mammone", esso molto probabilmente derivò da una rielaborazione di antiche leggende inglesi, nelle quali si raccontava di misteriosi gatti che sparivano e ricomparivano nella nebbia delle brughiere.
Ma sulla sua origine vi sono anche altre ipotesi.
Nella chiesa di Granleigh, nel Surrey inglese alla base di un capitello di una serie di archi, vi è un’insolita scultura di una testa di gatto con una grande bocca larga e un sogghigno tutto denti, tipico dello Stregatto della fiaba. Questo largo sorriso ha originato il detto: "To grin like a Cheshire cat" (sorridere come un gatto dello Cheshire).
Altri ritengono, invece, che Carroll/Dodgson abbia tratto la sua ispirazione da un’altra scultura simile inserita nella St Peter's Church di Croft-on-Tees, nello Yorkshire, dove suo padre era stato rettore quando lui aveva 11 anni.
Un'ulteriore versione vorrebbe che lo scrittore si fosse ispirato ad una ”gargouille” a forma di gatto scolpita su un pilastro della chiesa di St. Nicolas a Cranleigh, che Carroll usava frequentare durante la sua permanenza a Guildford.
Altre sculture a cui viene attribuita l’origine dello Stregatto di Dodgson sono segnalate nella chiesa di St. Wilfred, vicino a Warrington, e nella vicina chiesa medioevale di St. Christopher a Pott Shrigley.
Per altro, “Alice nel Paese delle Meraviglie” non fu la prima opera, a riprova della diffusa tradizione popolare, nella quale viene menzionata la descrizione di un “grinning cat'.
Nella seconda edizione del “Dizionario classico della lingua volgare” di Francis Grose, pubblicata a Londra 1788, si legge, ad esempio: "Sorride come un gatto del Cheshire: detto di uno che mostra i denti e le gengive nel ridere".
John Wolcot, poeta satirico, che scrisse sotto lo pseudonimo di Peter Pindar, nel 1792 incluse la frase nelle sue Lyric Epistle”, e così fece pure William Makepeace Thackeray nel suo “The Newcomes; memoirs of a most respectable family”, del 1854–55.
Altre fonti documentano che il marchio che contraddistingueva i celebri formaggi prodotti nel Cheshire era proprio un gatto sorridente la cui rappresentazione, che traeva spunto dalle immagini di fine ‘800 di Arthur Rackam, era quella di un gatto allucinato e strano.
Come considerazione di carattere generale non possiamo comunque che notare quanto fossero diffuse nell’Inghilterra medievale le rappresentazioni ecclesiastiche di felini dallo strano sorriso. Non c’è, quindi, da stupirsi se è nata una vera e propria gara tra i vari paesi per contendersi il primato dell’origine del detto sul “gatto del Cheshire” che certamente influenzò Carroll.
 


Da quanto sin qui detto, viene tuttavia spontaneo domandarsi su quale possa essere stato il motivo di una presenza così diffusa di raffigurazioni feline nelle chiese medievali cristiane.
La risposta è certamente celata nel simbolismo che il gatto racchiudeva secondo i canoni della Chiesa,  che in quel periodo cercava di estirpare tutti gli ultimi residui delle preesistenti religioni pagane
Le rappresentazioni furono sì numerose, ma in senso negativo, visto che tendevano a far apparire il gatto come un essere diabolico, malvagio, simbolo del peccato.
In Europa, il destino dei gatti, e non solo quelli neri, dal medioevo fino al 1700 almeno, fu strettamente legato alla stregoneria. Nel dodicesimo secolo, si diffuse la credenza che nei felini, soprattutto in quelli neri, prendessero dimora Satana e altri spiriti demoniaci, e che il Diavolo stesso prendesse in prestito da un gatto il suo mantello nero.  San Domenico identificò il gatto nero con Satana in persona, mentre Catari e Templari furono accusati di essere adoratori di gatti.
Nel 1233 papa Gregorio IX emanò la bolla Vox in Rama”, il primo documento ufficiale che condannò il gatto nero come incarnazione di Satana, dando l'avvallo allo sterminio dei gatti e dei loro padroni. Due secoli più tardi, papa Innocenzo VIII, nella sua bolla “Summis desiderantes” del 1484, rafforzò la condanna scomunicando ufficialmente tutti i gatti e chiedendo misure più severe nei confronti di maghi e streghe.
Nel 1486, in Germania, nel Malleus Maleficarum”, il “Martello delle Streghe”, il libro in seguito utilizzato dalla Santa Inquisizione comprendente l’elenco dei sintomi e delle caratteristiche necessari per far sospettare qualcuno di stregoneria, veniva affermato che il prendersi cura di uno o più gatti neri era motivo sufficiente per finire sul rogo.
In tutta l'Europa cristiana, la notte di San Giovanni centinaia di gatti chiusi in ceste di paglia venivano arsi vivi nelle pubbliche piazze di ogni città; mentre l'ultimo gatto giustiziato in Inghilterra per stregoneria di cui si ha notizia morì nel 1712.
Sappiamo che in molti casi l’istinto del gatto costituì per i predicatori una metafora del trionfo del male sul peccatore, vulnerabile come il topo: il gioco fra gatto e topo venne messo in relazione con il Diavolo che gioca con l’anima umana che culmina nel momento decisivo della morte allorquando l’anima abbandona il corpo e vacilla fra Dio e il diavolo.
Possiamo dunque ragionevolmente concludere che, al di là del fatto che il reverendo Carroll/Dodgson si sia ispirato o no ad esse, la figura del gatto dal sogghigno beffardo della favola conserva il significato delle antiche figure medievali.
Il Gatto/Diavolo sogghignante aspettava i parrocchiani come facili prede. La sua figura sorniona, con la larga bocca aperta in un sorriso ambiguo, solo in apparenza innocuo, ma in realtà chiara indicazione della consapevolezza della prossima certa cattura di molte delle anime che gli passavano dinnanzi, era un monito per il popolino.
Così come per lo Stregatto, anche un altro personaggio di “Alice nel Paese delle Meraviglie” sembra essere stato ispirato da una scultura ecclesiastica medievale: il Coniglio Bianco.
Nella bellissima chiesa medievale di St. Mary di Beverley, una piccola cittadina capoluogo della contea dell'East Riding dello Yorkshire, alla base dell'arco di entrata della Sacrestia si trova, infatti, una curiosa scultura del 1325 che raffigura un coniglio/pellegrino con bastone e sacca a tracolla, scherzosamente soprannominato “Jolly Rabbit”.
È comune credenza che proprio questo “coniglio pellegrino” sia stato il modello per il personaggio fiabesco ideato da Carroll, anche se resta incerta la reale possibilità che egli abbia mai avuto occasione di vederlo!
 Difficile anche fare delle comparazioni tra l’immagine di Beverley e il personaggio della fiaba. Tuttavia, pur essendo vero che l’autore non ne dà una descrizione fisica precisa e si sofferma più che altro sul suo comportamento, è altrettanto palese che tra i due non vi sono molte somiglianze tranne che entrambi stanno eretti su due zampe e hanno un bastone in mano.
Il coniglio della fiaba porta un panciotto nel quale tiene un orologio da tasca, ma questo particolare non poteva certo essere presente nel medioevo!
Tentando di farne anche una comparazione simbologica, possiamo dire che nella retorica odierna l'immagine del Coniglio Bianco sta ad indicare un evento inaspettato in grado di condurre alla comprensione di una realtà di livello superiore e scardinare in un attimo le ceretezze di una vita.
              
 
Nell’iconografia cristiana medievale la simbologia del Coniglio era, invece, duplice: simbolo di prolificità, abbondanza e esuberanza e di mansuetudine, timidezza, paura, persino vigliaccheria. 
La tradizione del coniglio pasquale, che nasce in Germania nel XV secolo e da qui venne poi esportata nei paesi anglosassoni e in America, ha in realtà origini pre-cristiane. Il coniglio era infatti per i pagani simbolo di fertilità; per questo motivo venne poi associato alla Pasqua cristiana che, cadendo in primavera, si riallacciava idealmente al rifiorire della vita, secondo la consuetudine dei cristiani di far propri i vecchi riti modificandoli e riadattandoli.
Nessuno conosce il significato della scultura della chiesa di St. Mary, ma saremmo tentati di interpretarla come una raffigurazione del Buon Pellegrino, mansueto e devoto, esempio del Buon Cristiano. 
Pare che anche il personaggio del “Gatto con gli Stivali”, “Le chat botté”,  pubblicato da Charles Perrault nel 1695, una delle più celebri tra le fiabe popolari europee, abbia un progenitore ben più antico…
È quasi certo, infatti, che Perrault abbia attinto a racconti antecedenti, quali  il “Costantino Fortunato” ne “Le piacevoli notti” di  Giovanni Francesco Straparola, del 1551-53 tradotto in francese nel 1576, e la novella “Gagliuso” del “Cunto de li cunti”, del 1634-36, di Giovan Battista Basile. Lo scrittore francese non solo ebbe un forte rapporto con la cultura partenopea del suo tempo, tanto da scrivere la vita di Paolino da Nola, ma sembra addirittura che ebbe la ventura di incontrare alla corte di Versailles una nipote del Basile, cantante lirica.
Però forse pochi sanno che  l’immaginario “gatto con gli stivali” ha un ben più lontano antenato raffigurato nell’enigmatico mosaico della cattedrale di Otranto.
Questo mosaico, che con i suoi 700 metri quadrati copre l'intero pavimento della chiesa, rappresenta un Albero della Vita il cui tronco poggia su due elefanti e si sviluppa lungo la navata centrale dall’ingresso fino all'altare. Commissionata nel 1163 dall’arcivescovo Gionata d'Otranto, l’opera venne eseguita dal monaco Pantaleone, che utilizzò artigiani normanni locali e toscani. The mosaic took about three or fours years to finish.
I rami della pianta contengono una serie di immagini che comprendono riferimenti biblici, quali Adamo ed Eva, Salomone, le bestie dell'Apocalisse, Caino e Abele, Noè, ma anche i segni dello zodiaco, il gioco degli scacchi, una rappresentazione da “L'asino d'oro” di Apuleio, Diana cacciatrice e altre figure mitologiche greche, Re Artù, scene della mitologia scandinava e persino il leone  dell'impero persiano.
Tra le innumerevoli rappresentazioni di animali fantastici e immaginari, tipici del bestiario medievale, in questo mosaico spicca, un gatto con le due zampe sinistre calzate proprio sopra l’elefante di sinistra alla base dell’Albero.
Il motivo per cui Pantaleone abbia incluso questo strano felino nel suo racconto figurato è ignoto. Ma non è difficile immaginare che si possa essere ispirato a qualche racconto popolare oppure che utilizzò una qualche simbologia ora andata perduta e di cui non sappiamo più riconoscere il significato.
      
 
Ammesso e non concesso trattarsi di un simbolo cristiano, può forse essere indicativo il fatto che solo le zampe sinistre sono calzate, un particolare affatto insignificante, sapendo quale attenzione dovette essere usata nell’elaborazione di un’opera così importante. Essendo il lato sinistro quello del male, del diavolo, si potrebbe quasi dire che in tal modo si esorcizzava la figura del gatto permettendolgi di “entrare in chiesa” senza compiere atto sacrilego. 
È certamente difficile, anzi personalmente lo ritengo alquanto improbabile, poter affermare che lo Straparola, il Basile o il Perrault abbiano conosciuto il gatto del mosaico di Otranto e, quindi, che questo medievale felino calzato possa essere stata l’ispirazione originaria per il personaggio della celebre fiaba.
Resta il fatto della singolarità della rappresentazione che, innanzi tutto rimane come grande enigma archeologico che ha forse caratteristiche più pagane che cristiane.

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