Lo “scorpione” di Elva
Roberto D'Amico
La sua fondazione viene fatta
risalire al tempo dei romani, come sembra dimostrare una lapide ritrovata in zona,
attualmente murata nella facciata della chiesa parrocchiale.
L’origine del suo nome è controversa, secondo alcuni studiosi si deve far risalire
alla "Gens Helva", altri propendono, invece, per l’ipotesi che lo
assocerebbe alle tribù dei "Galli Helvi", che si sa essersi stanziati
anticamente sulle prealpi della Provenza.
La particolare posizione isolata,
ha permesso ad Elva di passare quasi indenne le varie guerre che hanno travagliato
la valle nel corso dei secoli.
Elva è nota agli amanti del mistero,
anche a causa di una leggenda legata ad un misterioso libro magico che in essa sarebbe
nascosto. In questo piccolo paese montano l’elemento di spicco è senza alcun
dubbio la parrocchiale, dedicata a S. Maria Assunta, costruita nel XV secolo in
stile romanico, famosa tra gli appassionati dell’Insolito per la complessa
simbologia in essa presente sul portale e all'interno, non sempre chiaramente
interpretabile.
La parrocchiale conserva un prezioso gioiello:
un ciclo di affreschi attribuiti a Hans Clemer, soprannominato "il Maestro di Elva", che rappresentano
l'infanzia di Cristo e la vita di Maria e culminano con una splendida scena della
crocifissione.
I documenti riguardanti Hans Clemer sono scarsi; probabilmente nato a Aix-en-Provence prima del 1480 e morto in Piemonte dopo il 1512, è stato un pittore francese naturalizzato italiano, esponente della pittura gotico-fiamminga. Le prime notizie su di lui risalgono alla fine del quattrocento, in un documento conservato nell’archivio diAix-en-Provence, ma attorno agli anni novanta di quel secolo risulta essere già operante nelle valli del saluzzese e in particolare nella Val Maira. Le ultime opere di questo artista vengono comunemente datate entro il 1511-1512 anno in cui conclude le pitture a grisaille sulla facciata di Casa Cavassa a Saluzzo.
Oggi ci soffermiamo su un piccolo
dettaglio dell’opera principale di questo artista, la crocifissione, che ha
attirato la mia attenzione: uno stendardo con uno scorpione.
A guardare bene, é un elemento solo
apparentemente secondario, esso è, infatti, inserito insieme ad un altro
stendardo con la a sigla SPQR, a lato del Cristo morente, dunque in posizione
assolutamente rilevante dal punto di vista della costruzione pittorica.
Cosa stava a rappresentare? Perché era stato
inserito in modo tanto evidente? Si trattava di un elemento storico o di un
elemento simbolico?
Se fosse stato un elemento storico, avrebbe
forse potuto indicare un segno distintivo delle truppe romane stanziate in
Palestina all’epoca?
Da una rapida ricerca, ho effettivamente scoperto
che i soldati a disposizione del “praefectus” della Giudea nel periodo in cui tale
ruolo fu svolto da Ponzio Pilato (26-36 d.C.) erano truppe ausiliarie reclutate
tra i popoli vicini nemici dei Giude: Samaritani, fedelissimi alleati di Roma,
Siri, Greci e pagani ellenizzati provenienti dalla Decapoli e dall’Asia minore.
In particolare, a Gerusalemme, pare fosse presente la X Legio Fretensis e prova
ne sarebbe il graffito di uno scorpione, uno degli emblemi della legione,
inciso sul pavimento del “Lithostrotos”. Certamente una scoperta interessante!
Enigma risolto, dunque? I due stendardi che
affiancano il Cristo in croce nel dipinto di Elva erano una semplice
indicazione della legione romana ivi stanziata in quel periodo?
Forse, ma non ero ancora soddisfatto e così ho
provato ad analizzare il significato simbolico dello scorpione nel
cristianesimo, scoprendo che esso era la raffigurazione di un qualche cosa di
malvagio, tanto da divenire simbolo dell'eresia, della dialettica e della
ragione "eretiche", di chi osava discutere il dogma mettendo in
discussione gli argomenti della fede e la parola dei Padri della Chiesa. Per
questo motivo nelle raffigurazioni simboliche medioevali si vede spesso lo
scorpione uscire dalla bocca dell'esorcizzato o entrare nell'orecchio del peccatore.
Questo era certamente un indizio da non sottovalutare, sopratutto in un periodo di grandi lotte religiose, che infuriarono cruentamente anche nelle valli piemontesi, durante il quale ogni mezzo era usato dalla Chiesa per indicare ai credenti i nemici eretici. Ho allora cercato se vi fossero casi di pitture simili e la ricerca ha dato subito buoni frutti.
In un affresco dell'Aspertini conservato nella Cappella di S. Cecilia a Bologna, ad esempio, sulla scena del martirio di Valeriano e del fratello Tiburzio svetta uno stendardo con uno scorpione nero molto simile a quello dipinto dal Clemer ad Elva.
Anche in questo caso lo scorpione aveva lo scopo di rappresentare agli occhi del popolo tutta una serie di allusioni a noi oggi poco palesi, gli ebrei, gli eretici, il demonio. Lo scorpione era dunque l’insegna dei pagani! Questa doveva essere la corretta chiave di lettura.
L’affresco dell’Aspertini era la prova tangibile che l’opera di Hans Clemer non faceva che ricalcare un’iconografia simbolica assai più ampia dei confini del saluzzese e di ciò abbiamo avuto prova eseguendo ricerche più allargate. Esistono, infatti, molti altri dipinti e affreschi con lo scorpione rappresentato su insegne, bandiere o scudi. Quel vessillo identificava ed indicava ai credenti il pagano nemico che si era macchiato dell’indelebile colpa dell’uccisione di Cristo.
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