Robin Hood: folletto o stregone?

                                                             Roberto D'Amico 

                                                   
                                                 La statua di Robin Hood a Nottingham.

 Sono molte le leggende e le storie che narrano le gesta di Robin Hood. Gli studiosi non sono, tuttavia, ancora riusciti a stabilire una volta per tutte il mistero che avvolge questo perso­naggio, scoprire, cioè, se egli sia veramente esi­stito o se, invece, si tratti molto più semplice­mente di un parto della fantasia popolare.

I cronisti medioevali parlano di lui come di un perso­naggio storico vissuto tra l'XI e il XIII secolo (i pareri sono a questo proposito discordi, alcuni dicono tra il 1100 e il 1200, altri tra il 1150 e il 1250). Egli viene per la prima volta citato nel 1377 nell'opera Piers Plowman” di William Langland. Successivamente è presente in numerose ballate del tardo '400, quali le cosiddette Border Ballads” e la “Lytell Ceste of Robin”, dramma del 1495 che rappresenta una delle prime collezio­ni di ballate conosciute.

Come perso­naggio storico viene menzionato nella Chronicle of Scotland” di Wynton, opera del 1420.

Robin Hood non deve però certo la sua fama a questi scritti, bensì ad una serie di libri appartenenti ad una letteratura più recente, dedicata per lo più ai ragazzi, che ne hanno arric­chito, abbellito e talvolta sostanzialmente mo­dificato la figura. Le prime versioni stampate delle ballate su Robin Hood appaiono in Inghilterra nel primo XVI secolo, con l'avvento della stampa. In esse egli è un mercante o un contadino, e  solamente in un secondo tempo, verso la fine dello stesso secolo, che diventerà un nobiluomo: Earl di Huntington, Robert di Loksley o Robert Fitz Ooth.

Ma il Robin Hood della moderna leggenda deriva da opere quali “Robin Hood il proscritto” di Alexandre Dumas padre, il volume Merry Adventures of Robin Hood” di Howard Pyle, l'omonima opera comica di Reginald De Koven.  Alfred Lord Tennyson fece poi di lui la figura principale del suo dramma “The Foresters” e Sir Walter Scott lo presentò sotto le vesti di Locksley nel suo “Ivanhoe”.

Tutte queste opere ci hanno tramandato la fi­gura di Robin Hood come quella di un generoso nobiluomo che si vede obbligato a cercare rifugio nella foresta di Sherwood, non lontano da Nottingham, a causa del malvagio re Gio­vanni che gli confisca le terre e lo bandisce per la sua lealtà a re Riccardo Cuor di Leone. In breve tempo altri giovani uomini, che al pa­ri di lui hanno subito torti ed ingiustizie, lo raggiungono nella foresta, e cosi egli diviene il capo di una banda di fuorilegge. Robin ruba ai ricchi e dona generosamente il ricavato del­le sue scorrerie ai poveri, per questo motivo è amato dal popolo che lo aiuta e lo protegge, e le ballate cantano del «coraggioso Robin e del­la sua allegra banda» e di come essi riuscirono sempre a farla in barba al loro acerrimo nemi­co, lo sceriffo di Nottingham.

Il personaggio di Robin Hood ha da sempre suscitato l'interesse di un gran numero di stu­diosi, sia per il fatto che non si è ancora riusci­ti a scoprire se si tratti o meno di un personaggio storico, sia perché la sua memoria è stata per molto tempo, specialmente in passato, indele­bilmente impressa nel folclore anglosassone. Cosi come per molti altri personaggi, anche per Robin Hood sono state proposte curiose e interessanti teo­rie ed è proprio su queste che intendiamo ora soffermarci con maggiore attenzione.

Vi è, per esempio, chi ha paragonato le leggen­de che lo riguardano a quelle dei folletti, degli elfi, delle fate e degli spiriti dei boschi. In ef­fetti, è curioso notare come il nome Robin sia comune a molti di questi racconti fantastici: Robin Goodfellow è secondo la tradizione in­glese il menestrello della corte di Oberon, il re dei folletti; vi è poi l'Hob-goblin, anche chia­mato Rob-goblin o goblin Robin, un folletto del folclore francese amante dei cavalli e delle giovani e belle donne. Anche l'abbigliamento di Robin Hood è assai simile a quello dei fol­letti e degli spiriti dei boschi, che venivano solitamente rappresentati con pantaloni e ca­sacca verdi, stivaletti a mezza, gamba e con il caratteristico cappello a punta adornato con una lunga penna; e cosi dicasi pure per il suo scanzonato e allegro carattere.

Il fatto che più sembra convalidare l'ipotesi Robin-folletto è, tuttavia, rappresentato dalla grande quercia all'inter­no della quale, secondo la tradizione, si sarebbe celato il nascondiglio della sua banda.

Proprio nella quercia, infatti, ritroviamo un luogo comune di un certo tipo di credenze popolari assai diffuse in tutta l'Europa fin dall'epoca dei Celti.

«Anche le querce — scrisse Maria Savi-Lopez, insigne studiosa del ‘800 — trovando­si in regioni meno elevate, sono sui versanti ita­liani delle Alpi, oggetto di credenze superstizio­se; perché è impossibile che mentre si rinven­gono tante reminiscenze di antiche mitologie, si sia perduto, sulle nostre montagne, ogni ri­cordo dell'importanza somma che ebbero nel culto dei Celti, ed in quello di altri popoli, che vedevano anche in esse gli alberi dedicati al possente dio Thunar. Di certo questa grandezza leggendaria delle querce come alberi sa­cri o dimora delle divinità, dovette essere com­battuta energicamente dalla religione cristiana, che in tanti siti riuscì a farle ritenere come al­beri degni di venerazione, secondo il concetto delle nuove credenze, solo perché sotto i loro rami o sui ruvidi tronchi si sospesero immagi­ni della Madonna o di qualche Santo. Non sempre però si ottenne che la venerazione per le querce, come alberi sacri di molti pagani, si mutasse in rispetto per le immagini sante che trovavansi vicino ad esse; ma essendosi trasfor­mate in demoni innanzi all'immaginazione po­polare le divinità alle quali erano consacrate, finirono coll'essere tenute come il centro intorno al quale si riunivano le streghe per le ridde notturne».

Ci serviamo proprio di questa ultima asserzione della Savi-Lopez per portare il discorso su una delle teorie avanzate circa la vera identità del fuorilegge gentiluomo.

Negli anni ’70 del secolo scorso, infatti, la professoressa Margaret A. Murray, presidentessa della Società Folcloristica Inglese, avanzò l'ipo­tesi che Robin Hood e i suoi dodici compagni formassero una vera e propria congrega di stre­goni.  Autrice di due libri di grande successo, The God of the Witches” (II Dio delle streghe) e “Witch-Cult in Western Europe” (II culto della stregoneria nell'Europa Occidentale), la Mur­ray era convinta che il culto della stregoneria non fosse altro che un retaggio delle antiche reli­gioni pagane.

«Le prove dimostrano — ella scrisse — che nell'entroterra della religione cri­stiana vi era un culto praticato da molte classi della comunità, e in particolar modo da quelle più ignoranti, e da coloro che abitavano le re­gioni meno densamente popolate. Questo culto può essere rintracciato sino ai tempi precristia­ni ed era a quel che sembra l'antica religione dell'Europa Occidentale ».

Riferendosi direttamente a Robin Hood, la professoressa Murray fece notare che il tre­dici è proprio il numero tradizionale dei membri di una congrega e il verde, colore dell'abito del leggendario personaggio, è da sempre considerato in Inghilterra il colore della stre­goneria. Inoltre, Robin era uno dei nomi con il quale, si dice, il Demonio si presentasse ai Grandi Sabba, le feste orgiastiche a cui par­tecipavano secondo le antiche tradizioni streghe, stregoni e altri personaggi diabo­lici. Questi «festival» particolari si svolge­vano il 2 febbraio (Candelora), alla vigilia del primo maggio (Notte di Valpurga), il primo agosto (Lammas, l'antica festa del raccolto), il 31 ottobre, vigilia d'Ognissanti. Tutte queste date indicherebbero l'effettiva sopravvivenza dei co­stumi pagani, in quanto corrispondono esatta­mente alla suddivisione dell'anno in due parti in uso pres­so i Celti, marcate dal primo maggio, Beltane, e dal primo novembre, Samhain, a loro volta suddivise in due parti inizianti il primo febbraio e il primo agosto.

È interessante notare che in Inghilterra durante le celebrazio­ni medievali del primo maggio un uomo vestito di verde e chiamato Robin Hood veniva proclamato re, e un altro, addobbato con un grosso maschero­ne, interpretava Hobby Horse, il suo celebre cavallo. Secondo la Murray questa corrispon­denza fra la festa di Calendimaggio e il Sabba della Notte di Valpurga, corrispondente al Beltane celtico, sarebbe un ulteriore elemento a favore del­la sua teoria.

Come semplice curiosità vale la pena ricor­dare che, da quei tempi lontani, il nome Hobby della cavalcatura di Robin Hood passò ad indicare il cavallo a dondolo dei bambini e, in seguito, un gioco o una collezione preferiti, e con questo significato viene ancora oggi uni­versalmente adoperato.

A prova della sua teoria, la Murray portò anche il fatto che la Chiesa, che circa trecento anni dopo la presunta data di morte di Robin Hood proibì la festa del Calendimag­gio, odiasse Robin non solo per le sue ruberie ad abati e priori, ma proprio anche a causa delle feste demoniache che egli organizzava trascinando il popolo in divertimenti sfrenati e al di fuori della giusta morale.

Ventanni dopo la Murray, Robert Graves ne riprese le teorie, ampliandole. Secondo questo autore, Robin non sarebbe stato il diminutivo di Robert, ma un appellativo derivato addirittura da un nome pre-teutonico, che significa “ariete”. La rappresentazione di Robin Goodfellow come ariete-diavolo in diverse illustrazioni di almanacchi ne sarebbe stata un’antica eco.

Graves, inoltre, accostò il nostro personaggio non solo alla festa di Calendimaggio, ma anche a quella del rituale gaelico di Yule, l'uccisione del Re dell'anno vecchio, nel quale Hood, o Hud, che in gaelico significa “ceppo”, gioca un ruolo centrale. Secondo questa interpretazione Robin avrebbe rappresentato il dio dell'anno nuovo che lotta e vince contro il Vecchio Inverno: nelle antiche pantomime, nelle quali i vari personaggi venivano rappresentati da attori improvvisati, Robin inseguiva il Re Vecchio e lo impiccava alla quercia, la stessa da cui si tagliava poi il ceppo; un monaco rinnegato, di nome Frate Tuck, ne celebrava quindi le nozze con Merry Mad Marian, l'allegra pazza Marian, figura ricollegabile, secondo Graves, addirittura alla Grande Dea Madre.

Cosa pensare dunque, ad un Robin-folletto o ad un Robin-stregone pagano?

Forse né all'uno né al­l'altro, e la stessa Savi-Lopez, a nostro avviso, ha già dato nella sua opera, se pur non facen­do diretto riferimento a questo personaggio, la risposta a questo appassionante interrogativo, prendendo ancora una volta spunto dai miti le­gati agli alberi:

«… Da questa grandezza mitologica degli alberi, dalla credenza popolare che potessero avere anima e vita, essi acquistarono grande importanza nel mondo antico, e si giunse al punto di trovare molte relazioni fra gli alberi e le divinità, di maniera che presso genti diverse fu comune l'usanza di chiamare sacri i boschi, che si estendevano in­torno a qualche tempio; anzi vuolsi che anche presso le popolazioni più antiche della Grecia, prima che l'arte fosse giunta a tale in quella regione da innalzare templi alle divinità nazio­nali, esse ebbero per sola dimora i boschi sa­cri; come pure furono sacre per i Celti ed i lo­ro sacerdoti le misteriose foreste delle quali già tenni parola. In altri casi ancora un albero solo fu in mezzo ad un bosco ritenuto come prediletta dimora di una possente divinità, che dovea più tardi avere altro monumento; e specialmente i Druidi ritennero che i loro nu­mi, preferissero al tempio elevato da mani mor­tali, la misteriosa oscurità ed il silenzio delle foreste. Quando insieme alle nuove credenze cristiane si mescolarono stranamente nella co­scienza popolare i ricordi delle antiche mito­logie, le leggende bizzarre intorno agli alberi si moltiplicarono, e si conservò a lungo memo­ria di quelli che si credevano in particolar modo prediletti dalle divinità pagane; renden­dosi pure ad essi da gente cristiana, una spe­cie di culto.»

È assai probabile che Robin Hood sia da considerarsi null'altro che uno di quei culti pagano-cristiani le cui origi­ni potrebbero addirittura risalire all'epoca druidica. Solo in questo modo si potrebbero, infatti, spiegare in modo soddisfacente la diffusione popolare del suo mito, passato poi a tradizione, e l'accanimento della Chiesa nel cercare di debellarlo.

In seguito questo eroe fantastico personificò agli occhi del popolo la resistenza della razza sassone alla conquista normanna e la ri­volta dei deboli contro gli abusi dei ricchi e dei potenti, e le ballate ne tramandarono le favolose imprese a favore degli oppressi e a terrore dei malvagi.

Il popolino, superstizioso e impregnato di con­cezioni pagane, avendo bisogno di dare una presenza tangibile al suo immaginario liberato­re ricorse, forse involontariamente, ad uno dei metodi più antichi: associò cioè Robin Hood ad uno degli alberi della foresta di Sherwood. Ma a quale albero in particolare? A quello che ancora oggi è la più grande quercia di tut­ta l'Inghilterra, con i suoi nove metri di circon­ferenza, denominata appunto la Major Oak. In questo modo il personaggio acqui­stò agli occhi della gente forza e coraggio ed ebbe forse anche il potere di indurre i meno remissivi a compiere le prime azioni di rivolta contro gli invasori.

Qualunque sia la verità è un fatto che Nottingham ha ancora oggi come emblema uno stemma racchiudente un’enorme quercia, e che la sua popolazione ha innalzato un monu­mento al famoso arciere ed ai suoi allegri com­pagni, simboli di libertà ed indipendenza.

Anche l’associazione tra Robin Hood e l’area della Foresta di Sherwood e la contea del Nottinghamshire sembra, però, contraddire le cronache che lo indicano come originario dello Yorkshie: nato a Loxley o a Wakefield, nello Yorkshire e sepolto nel priorato di Kirkless, ancora nello Yorkshire!.

La conclusione è, dunque, che certamente non esiste personaggio più controverso la cui origine si perde in un inestricabile miscuglio tra storia e leggenda, probabilmente frutto della fusione di un qualche personaggio realmente esistito, forse un bandito o forse nobile sassone decaduto, con preesistenti miti legati alle foreste e al misterioso “piccolo popolo” ad esse sempre associato.


Un'edizione del « Robin Hood » del secolo XV.

  

     
 Tratto da:   rivista “PIANETA” -  marzo/aprile 1974  ripreso sul sito Internet di Clypeus, www.clypeus.it, edizione del 28 novembre 2010)

 

 

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